Era stato accusato dalla moglie perchè, a suo dire, durante tutta la convivenza iniziata nel 2004, l’avrebbe malmenata, ingiuriata e minacciata ripetutamente; per motivi di gelosia le avrebbe anche impedito di cercarsi un lavoro e di uscire di casa, disattivando le utenze telefoniche tanto da rendere intollerabile la convivenza.
Il 2 ottobre 2019, il giudice monocratico del tribunale di Patti Francesco Torre aveva condannato l’imputato a due anni e sei mesi di reclusione, al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede e al pagamento delle spese di costituzione di parte civile.
L’avvocato Virzì ha presentato appello, ribadendo che il capo di imputazione poggiasse solo sulle dichiarazioni della parte offesa e poi che fossero emerse contraddizioni nelle dichiarazioni della moglie. In avanti che non si sarebbero verificati ne maltrattamenti ne vessazioni e che invece avrebbe avuto sempre rispetto per la propria famiglia, assicurandole il sostentamento morale e materiale. Certo dell’innocenza del proprio assistito, l’avvocato Virzì ha impugnato la sentenza di condanna, chiedendo l’assoluzione con la formula più ampia.
I giudici di appello, accogliendo la tesi della difesa, hanno assolto l’imputato perchè il fatto non costituisce reato, azzerando di fatto la sentenza di primo grado.