NOTIZIE DI VITA ECCLESIALE
24 Ottobre 2016 Stampa
Scritto da Giancarlo D'Amico   
Lunedì 24 Ottobre 2016 08:01

  

     

 

Lunedì 24 Ottobre la Chiesa celebra la memoria di 

Sant’Antonio Maria Claret, vescovo
 

 

 

LITURGIA DELLA PAROLA -Memoria di Sant'Antonio Maria Claret, vescovo


Prima Lettura
 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini    (4, 32 - 5-8) 

Camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato.


Salmo responsoriale (dal Salmo 1)
Rit.
 Facciamoci imitatori di Dio, quali figli carissimi.


Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca     (13, 10-17)

Questa figlia di Abramo non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?


Una figura del secolo XIX al cui nome è tuttora legata una congregazione religiosa diffusa in tutti i continenti, quella dei Missionari del Cuore Immacolato di Maria, detti appunto Clarettiani. Di origine catalana, appena ordinato sacerdote Claret si reca a Roma, a Propaganda Fide, per essere inviato missionario. Ma la salute precaria lo costringe a tornare in patria. Così per sette anni si dedica alla predicazione delle missioni popolari tra la Catalogna e le Isole Canarie. È tra i giovani raggiunti in questa attività apostolica che nasce l’idea della congregazione. Nel 1849 viene nominato arcivescovo di Santiago di Cuba. Morirà il 24 ottobre 1870. Sulla tomba vengono scolpite le parole di papa Gregorio VII: "Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità, per questo muoio in esilio". Il suo corpo si venera nella Casa Madre dei Clarettiani a Vic (Barcellona). E l’8 maggio 1950 il papa Pio XII lo proclama santo.   


LITURGIA DELLE ORE(Volume IV)

 Prima Lettura

al libro della Sapienza   (1, 16 - 2, 1a. 10-24)

Gli stolti ragionamenti degli empi contro il giusto


Seconda Lettura 

Dalle «Opere» di sant'Antonio Maria Claret, vescovo  (LEgoismo vinto, Roma, 1869, 60)
  

L’amore di Cristo ci spinge

Lunedì della II settimana, ufficio della memoria dal Comune dei pastori.

Meditiamo insieme

 Viviamo bene la nostra giornata...

 

Fanno bene a vergognarsi, gli avversari di Gesù, e la folla esulta per il volto del suo Dio, il Dio di Israele, che torna a splendere dopo che centinaia di maschere avevano fatto scordare il suo vero volto. La donna guarita è uno stupore per tutti, eccetto che per il rabbino della sinagoga che vede in questa guarigione compiuta in giorno di sabato una trasgressione da biasimare. Gesù non obietta, come potrebbe, rifacendosi alla grettezza di un tale ragionamento: argomenta a partire dalla infinita casistica dei rabbini del suo tempo, perché non vuole figurare come un blasfemo o un anarchico: di sabato non era considerato lavoro portare ad abbeverare i propri animali che, altrimenti, sarebbero morti di sete; la donna curva è stata slegata, sciolta, liberata, come si scioglie e si slega un animale da soma, quindi, conclude Gesù, non c'è stata nessuna violazione delle Legge. Splendido Gesù, che ci insegna a meditare e vivere la Parola con verità, senza compromessi, senza trucchi, senza rigidezze! Splendido Gesù che ci ricorda che la Legge è stata data da Dio perché l'uomo impari ad essere più uomo! Noi, discepoli del risorto, stiamo attenti a non cadere nella stessa ristrettezza mentale, attribuendo a Dio ciò che è solo nostro?

 

Impegno di vita

Oggi non permetterò che il mio temperamento mi faccia mancare di carità verso gli altri. 

Intenzione di preghiera del giorno 


Oggi non permetterò che il mio temperamento mi faccia mancare di carità verso gli altri. 

Messaggio del giorno

 

Non bisogna sottrarsi alla sofferenza, ma relazionarsi con essa, cercando di capire che cosa Dio voglia da noi. Le sofferenze vengono per dirci qualcosa. Nascondono sempre un tesoro. Informazioni preziose e sconosciute su di noi. Sono portatrici di cambiamento. Ci offrono sempre la possibilità di crescere. Sono un'opportunità. Valerio Albisetti

 

 

Preghiamo insieme

 

Con il battesimo abbiamo ricevuto uno spirito da figli adottivi, per mezzo del quale possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo Padre. Per questo, con fiducia rivolgiamo al Signore le nostre preghiere. Diciamo insieme: Padre, ascoltaci.

Perché la Chiesa superi con la libertà della fede, qualsiasi tradizione che offusca lo spirito evangelico e indichi ai fedeli il vero volto di Dio. Preghiamo:

Perché gli uomini siano liberati dalla tentazione di crearsi una propria e riduttiva immagine di Dio, ma lo scoprano come egli si è rivelato in Gesù Cristo. Preghiamo:

Perché nessuna legge o istituzione sia di impedimento al compimento del bene, ma su tutto prevalga il comandamento dell'amore. Preghiamo:

Perché tutti i datori di lavoro si impegnino fattivamente a rispettare la dignità della persona, che viene prima di ogni interesse e profitto economico. Preghiamo:

Perché l'amore verso Dio ci aiuti a vivere la nostra sessualità come dono, che ci rende conformi alla sua immagine. Preghiamo:


O Dio, che in Sant'Antonio Maria Claret vescovo, hai dato alla tua Chiesa un mirabile esempio di carità e di pazienza, concedi anche a noi di cercare sempre il tuo regno e di lavorare alacremente per guadagnare i fratelli a Cristo Signore.

 

 

  IN PREGHIERA CON LA CHIESA
Intenzioni affidate 
all’Apostolato della Preghiera


Ottobre 2016


UNIVERSALE
Perché i giornalisti, nello svolgimento della loro professione, siano sempre animati dal rispetto per la verità e da un forte senso etico.

PER L'EVANGELIZZAZIONE
Perché la Giornata Missionaria Mondiale rinnovi in tutte le comunità cristiane la gioia e la responsabilità di annunciare il Vangelo.

DEI  VESCOVI
Perché il Signore liberi le nostre comunità dalla malattia della rivalità e della vanagloria, dalle mormorazioni e dai pettegolezzi. 

MARIANA
Perché Maria ci educhi ad amare il santo Rosario e i misteri gaudiosi, dolorosi, luminosi e gloriosi di Cristo.

PRO CLERO
Cuore di Gesù, i tuoi sacerdoti non si stanchino mai di offrire misericordia e siano sempre pronti a confortare e perdonare.

 


Lettura

La donna curva nel Vangelo di oggi, è l'immagine di chiunque si trovi curvo sotto il peso del peccato e della propria umanità. Non si ha la forza di raddrizzarsi e guardare in alto, non si ha il potere (la fede) di vedere il Padre che si china verso di noi per abbracciarci. 
Dio si è fatto uomo per venire incontro ad ogni persona; in Gesù, Dio ha sofferto con noi e per noi, fino alla morte in croce, salvandoci così dalle conseguenze distruttive del male. Il male esiste ma non è altro che la negazione del bene. Di solito noi lo sperimentiamo nella concretezza di una malattia, della violenza, delle calamità e cerchiamo di evitarlo a tutti i costi
.  

 

Meditazione

 

La folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute. Da quello che si può notare a prima vista, il popolo, grazie al suo istinto religioso, avverte una viva presenza di Dio più degli esperti, strettamente formalizzati sul legalismo. Questa pagina del Vangelo non è soltanto una pagina che ci permette di ammirare Cristo nella sua missione di liberazione da ogni schiavitù, e di donare a tutti la libertà dei figli di Dio, ma è soprattutto un invito ad assumere le nostre responsabilità. Siamone coscienti di quella libertà donataci per non ricadere nella propria schiavitù. Il Padre, offrendo suo Figlio, è tutto incurvato sull'uomo, e ogni uomo incurvato, per sua grazia si può raddrizzare e così riflettere la gloria del Figlio. 
La donna è dapprima curva e, per l'intervento di Gesù, si erge dritta. Ora è libera nella novità di uno sguardo che lei può inaugurare abbracciando ampiezza di visuale. Così diventa una icona eloquente anche per me, per te, per ognuno che accetta di essere liberato da Gesù. Diciamolo chiaro! L'handicap di fondo è sempre l'egoismo che ci tiene curve quando c'inchioda a volere, troppo spesso, solo cose di terra.  

 

Preghiera 

 

Signore, mio liberatore, rendimi desiderosa della libertà vera che è stare ritte per vedere, conoscere, volere tutto quello che meglio mi connota come donna, come uomo, come creatura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’Agenda di oggi:

 

 

Lunedì 24 Ottobre 2016

 

 

 


* 

 

 

  

           Agus Vaticanus            
 

 

  

 

 

 

 

  

 

 

 

 

  

 

 La catechesi del Santo Padre Francesco all’Udienza Generale 

 

Piazza San Pietro, mercoledì 19 Ottobre 2016

 

%_tempFileName327779_19102016%

 

  

L’Udienza Generale di mercoledì 19 Ottobre si è svolta alle ore 10 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando la catechesi sulla misericordia, ha incentrato la Sua meditazione sul tema: “Dar da mangiare agli affamati. Dar da bere agli assetati” (cfr. Gc 2, 14-17).

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. 

L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Una delle conseguenze del cosiddetto “benessere” è quella di condurre le persone a chiudersi in sé stesse, rendendole insensibili alle esigenze degli altri. Si fa di tutto per illuderle presentando modelli di vita effimeri, che scompaiono dopo qualche anno, come se la nostra vita fosse una moda da seguire e da cambiare ad ogni stagione. Non è così. La realtà va accolta e affrontata per quello che è, e spesso ci fa incontrare situazioni di bisogno urgente. È per questo che, tra le opere di misericordia, si trova il richiamo alla fame e alla sete: dare da mangiare agli affamati – ce ne sono tanti oggi - e da bere agli assetati. Quante volte i media ci informano di popolazioni che soffrono la mancanza di cibo e di acqua, con gravi conseguenze specialmente per i bambini.

Di fronte a certe notizie e specialmente a certe immagini, l’opinione pubblica si sente toccata e partono di volta in volta campagne di aiuto per stimolare la solidarietà. Le donazioni si fanno generose e in questo modo si può contribuire ad alleviare la sofferenza di tanti. Questa forma di carità è importante, ma forse non ci coinvolge direttamente. Invece quando, andando per la strada, incrociamo una persona in necessità, oppure un povero viene a bussare alla porta di casa nostra, è molto diverso, perché non sono più davanti a un’immagine, ma veniamo coinvolti in prima persona. Non c’è più alcuna distanza tra me e lui o lei, e mi sento interpellato. La povertà in astratto non ci interpella, ma ci fa pensare, ci fa lamentare; ma quando vediamo la povertà nella carne di un uomo, di una donna, di un bambino, questo ci interpella! E perciò, quell’abitudine che noi abbiamo di sfuggire ai bisognosi, di non avvicinarci a loro, truccando un po’ la realtà dei bisognosi con le abitudini alla moda per allontanarci da essa. Non c’è più alcuna distanza tra me e il povero quando lo incrocio. In questi casi, qual è la mia reazione? Giro lo sguardo e passo oltre? Oppure mi fermo a parlare e mi interesso del suo stato? E se fai questo non mancherà qualcuno che dice: “Questo è pazzo perché parla con un povero!”. Vedo se posso accogliere in qualche modo quella persona o cerco di liberarmene al più presto? Ma forse essa chiede solo il necessario: qualcosa da mangiare e da bere. Pensiamo un momento: quante volte recitiamo il “Padre nostro”, eppure non facciamo veramente attenzione a quelle parole: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

Nella Bibbia, un Salmo dice che Dio è colui che «dà il cibo ad ogni vivente» (136,25). L’esperienza della fame è dura. Ne sa qualcosa chi ha vissuto periodi di guerra o di carestia. Eppure questa esperienza si ripete ogni giorno e convive accanto all’abbondanza e allo spreco. Sono sempre attuali le parole dell’apostolo Giacomo: «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo?Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve?Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in sé stessa è morta» (2,14-17) perché è incapace di fare opere, di fare carità, di amare. C’è sempre qualcuno che ha fame e sete e ha bisogno di me. Non posso delegare nessun altro. Questo povero ha bisogno di me, del mio aiuto, della mia parola, del mio impegno. Siamo tutti coinvolti in questo.

È anche l’insegnamento di quella pagina del Vangelo in cui Gesù, vedendo tanta gente che da ore lo seguiva, chiede ai suoi discepoli: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro possano mangiare?» (Gv 6,5). E i discepoli rispondono: “È impossibile, è meglio che tu li congedi…”. Invece Gesù dice loro: “No. Date loro voi stessi da mangiare” (cfr Mc 14,16). Si fa dare i pochi pani e pesci che avevano con sé, li benedice, li spezza e li fa distribuire a tutti. È una lezione molto importante per noi. Ci dice che il poco che abbiamo, se lo affidiamo alle mani di Gesù e lo condividiamo con fede, diventa una ricchezza sovrabbondante.

Papa Benedetto XVI, nell’Enciclica Caritas in veritate, afferma: «Dar da mangiare agli affamati è un imperativo etico per la Chiesa universale. […] Il diritto all’alimentazione, così come quello all’acqua, rivestono un ruolo importante per il conseguimento di altri diritti. […] È necessario pertanto che maturi una coscienza solidale che conservi l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni» (n. 27). Non dimentichiamo le parole di Gesù: «Io sono il pane della vita» (Gv 6,35) e «Chi ha sete venga a me» (Gv 7,37). Sono per tutti noi credenti una provocazione queste parole, una provocazione a riconoscere che, attraverso il dare da mangiare agli affamati e il dare da bere agli assetati, passa il nostro rapporto con Dio, un Dio che ha rivelato in Gesù il suo volto di misericordia.

 

Saluti in francese:

Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare i sacerdoti della Diocesi di Orléans, accompagnati da Mons. Jacques Blaquart, e gli altri fedeli venuti da Francia, Svizzera e Belgio. Cari fratelli, il poco che abbiamo, se lo rimettiamo nelle mani di Gesù condividendolo con gli altri nella fede, diventa una ricchezza sovrabbondante. Attraverso la nostra generosità, non temiamo di essere, per i nostri fratelli, la rivelazione della misericordia del Padre. Dio vi benedica.


Saluti in inglese:

Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra, Scozia, Irlanda, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Malta, Ghana, Uganda, Sud Africa, Indonesia, Cina, Singapore, Giappone, Filippine e Stati Uniti d’America. Con fervidi auguri che il presente Giubileo della Misericordia sia per voi e per le vostre famiglie un tempo di grazia e di rinnovamento spirituale, invoco su voi tutti la gioia e la pace del Signore Gesù! 

Saluti in tedesco:

Sono lieto di accogliere i pellegrini provenienti dai Paesi di lingua tedesca. Saluto in particolare la Corale della Cattedrale di Magonza e i numerosi giovani, allievi e ministranti, specialmente il folto gruppo del Liceo di Damme. Questo incontro con il Papa e con la Chiesa universale a Roma vi renda saldi nella testimonianza di Cristo, affinché la vostra fede sia sempre più operosa nella carità. Di cuore benedico voi e i vostri cari.

Saluti in portoghese:

Carissimi pellegrini di lingua portoghese, vi saluto cordialmente tutti, con una menzione speciale per i gruppi parrocchiali di Mogi Guaçu e di Pereiras, augurandovi in quest’Anno Giubilare la grazia di fare esperienza della grande potenza della Misericordia, che ci fa entrare nel cuore di Dio e ci rende capaci di guardare il mondo con più bontà. Così Dio benedica voi e le vostre famiglie.

Saluti in arabo:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente! Cari fratelli e sorelle, Gesù ci invita a fare spazio nel nostro cuore all’urgenza di «dare da mangiare agli affamati», condividere ciò che abbiamo con coloro che non hanno i mezzi per soddisfare un bisogno così primario, ci educa a quella carità che è un dono traboccante di passione per la vita dei poveri che il Signore ci fa incontrare. Il Signore vi benedica!

Saluti in polacco:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Oggi la liturgia commemora il beato martire Don Popiełuszko. Egli si espose in prima persona a favore degli operai e delle loro famiglie, chiedendo giustizia e degne condizioni di vita, la libertà civile e religiosa della Patria. Le parole di san Paolo: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rm 12,21) sono state il motto della sua pastorale. Tali parole siano oggi anche per voi, per tutte le famiglie e il popolo polacco una sfida per costruire il giusto ordine sociale nella quotidianità alla ricerca del bene evangelico. Di cuore vi benedico!

 

Saluti in neerlandese:

Un cordiale benvenuto rivolgo ai pellegrini provenienti dai Paesi Bassi. Saluto in particolare i seminaristi dell’Arcidiocesi di Utrecht e delle Diocesi di Rotterdam e Breda, nonché i rappresentanti del Consiglio delle Chiese nei Paesi Bassi e il Grootkoor Holland. Accogliamo l’invito dell’Anno Santo della Misericordia a vivere una fede operosa nella carità rafforzando il nostro impegno verso i fratelli che sono nel bisogno. Il Signore vi benedica tutti!

Saluti in slovacco:

Saluto di cuore i pellegrini provenienti dalla Slovacchia, particolarmente i gruppi parrocchiali e la gioventù salesiana di Bratislava.

Fratelli e sorelle, domenica prossima celebreremo la Giornata Missionaria Mondiale, occasione preziosa per riflettere sull’urgenza dell’impegno missionario della Chiesa e di ciascun cristiano. Anche noi siamo chiamati ad evangelizzare nell’ambiente in cui viviamo e lavoriamo.

Con questi voti volentieri benedico voi e le vostre famiglie.

Sia lodato Gesù Cristo!


Saluti in italiano:

 


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Accolgo con gioia i fedeli della Diocesi di Caltagirone, con il Vescovo Mons. Calogero Peri, nella ricorrenza del bicentenario di fondazione; i cresimati della Diocesi di Faenza-Modigliana, accompagnati da Mons. Mario Toso; i partecipanti al Seminario promosso dall’Università della Santa Croce; i ragazzi dell’Azione Cattolica di Brindisi-Ostuni e i fedeli di Mistretta!

Saluto il pellegrinaggio delle Suore di San Giovanni Battista, qui convenute per la Canonizzazione di Sant’Alfonso Maria Fusco, ed auspico che il carisma del fondatore venga diffuso anche nell’odierna società. Saluto gli ufficiali dell’Accademia di Modena; la Fondazione Centro di creatività nazionale; l’Associazione Diversamente disabili e i partecipanti al Secondo IncontroDonne, Medio oriente e Mediterraneo.

Rivolgo infine un pensiero ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Oggi la liturgia fa memoria di San Paolo della Croce, sacerdote fondatore dei Passionisti: cari giovani, specialmente i ragazzi aderenti al Festival della Diplomazia, la meditazione della Passione di Gesù vi insegni la grandezza del suo amore per noi; cari ammalati, portate la vostra croce in unione con Cristo per avere sollievo nell’ora della prova; e voi, cari sposi novelli, dedicate del tempo alla preghiera, perché la vostra vita coniugale sia un cammino di perfezione cristiana.

 

  

 

 Santa Messa con il Rito di Canonizzazione di 7 Beati

presieduta dal Santo Padre Francesco

e recita dell’Angelus

 

Piazza San Pietro, domenica 16 Ottobre 2016Risultati immagini per 7 nuovi santi

 

Alle ore 10.15 del 16 Ottobre, XXIX Domenica del Tempo Ordinario, in Piazza San Pietro, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa e ha presieduto il rito della canonizzazione dei Beati: Salomone Leclercq (1745-1792), al secolo: Guglielmo Nicola Ludovico, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, martire; Giuseppe Sánchez del Río (1913-1928), laico, martire; Manuel González García (1877-1940), vescovo di Palencia, fondatore dell’Unione Eucaristica Riparatrice e della Congregazione delle Suore Missionarie Eucaristiche di Nazareth; Lodovico Pavoni (1784-1849), sacerdote, fondatore della Congregazione dei Figli di Maria Immacolata; Alfonso Maria Fusco (1839-1910), sacerdote, fondatore della Congregazione delle Suore di San Giovanni Battista; Giuseppe Gabriele del Rosario Brochero (1840-1914), sacerdote diocesano; Elisabetta della Santissima Trinità Catez (1880-1906), al secolo: Elisabetta Catez, monaca professa dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:


All’inizio dell’odierna celebrazione abbiamo rivolto al Signore questa preghiera: «Crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito» (Orazione Colletta).

Noi, da soli, non siamo in grado di formarci un cuore così, solo Dio può farlo, e perciò lo chiediamo nella preghiera, lo invochiamo da Lui come dono, come sua “creazione”. In questo modo siamo introdotti nel tema della preghiera, che è al centro delle Letture bibliche di questa domenica e che interpella anche noi, qui radunati per la canonizzazione di alcuni nuovi Santi e Sante. Essi hanno raggiunto la meta, hanno avuto un cuore generoso e fedele, grazie alla preghiera: hanno pregato con tutte le forze, hanno lottato, e hanno vinto.

Pregare, dunque. Come Mosè, il quale è stato soprattutto uomo di Dio, uomo di preghiera. Lo vediamo oggi nell’episodio della battaglia contro Amalek, in piedi sul colle con le braccia alzate; ma ogni tanto, per il peso, le braccia gli cadevano, e in quei momenti il popolo aveva la peggio; allora Aronne e Cur fecero sedere Mosè su una pietra e sostenevano le sue braccia alzate, fino alla vittoria finale. Questo è lo stile di vita spirituale che ci chiede la Chiesa: non per vincere la guerra, ma per vincere la pace! Nell’episodio di Mosè c’è un messaggio importante: l’impegno della preghiera richiede di sostenerci l’un l’altro. La stanchezza è inevitabile, a volte non ce la facciamo più, ma con il sostegno dei fratelli la nostra preghiera può andare avanti, finché il Signore porti a termine la sua opera.

San Paolo, scrivendo al suo discepolo e collaboratore Timoteo, gli raccomanda di rimanere saldo in quello che ha imparato e in cui crede fermamente (cfr 2 Tm 3,14). Tuttavia anche Timoteo non poteva farcela da solo: non si vince la “battaglia” della perseveranza senza la preghiera. Ma non una preghiera sporadica, altalenante, bensì fatta come Gesù insegna nel Vangelo di oggi: «pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1). Questo è il modo di agire cristiano: essere saldi nella preghiera per rimanere saldi nella fede e nella testimonianza. Ed ecco di nuovo una voce dentro di noi: “Ma Signore, com’è possibile non stancarsi? Siamo esseri umani… anche Mosè si è stancato!...”. E’ vero, ognuno di noi si stanca. Ma non siamo soli, facciamo parte di un Corpo! Siamo membra del Corpo di Cristo, la Chiesa, le cui braccia sono alzate giorno e notte al Cielo grazie alla presenza di Cristo Risorto e del suo Santo Spirito. E solo nella Chiesa e grazie alla preghiera della Chiesa noi possiamo rimanere saldi nella fede e nella testimonianza.

Abbiamo ascoltato la promessa di Gesù nel Vangelo: Dio farà giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui (cfr Lc 18,7). Ecco il mistero della preghiera: gridare, non stancarsi, e, se ti stanchi, chiedere aiuto per tenere le mani alzate. Questa è la preghiera che Gesù ci ha rivelato e ci ha donato nello Spirito Santo. Pregare non è rifugiarsi in un mondo ideale, non è evadere in una falsa quiete egoistica. Al contrario, pregare è lottare, e lasciare che anche lo Spirito Santo preghi in noi. E’ lo Spirito Santo che ci insegna a pregare, che ci guida nella preghiera, che ci fa pregare come figli.

I santi sono uomini e donne che entrano fino in fondo nel mistero della preghiera. Uomini e donne che lottano con la preghiera, lasciando pregare e lottare in loro lo Spirito Santo; lottano fino alla fine, con tutte le loro forze, e vincono, ma non da soli: il Signore vince in loro e con loro. Anche questi sette testimoni che oggi sono stati canonizzati, hanno combattuto la buona battaglia della fede e dell’amore con la preghiera. Per questo sono rimasti saldi nella fede, con il cuore generoso e fedele. Per il loro esempio e la loro intercessione, Dio conceda anche a noi di essere uomini e donne di preghiera; di gridare giorno e notte a Dio, senza stancarci; di lasciare che lo Spirito Santo preghi in noi, e di pregare sostenendoci a vicenda per rimanere con le braccia alzate, finché vinca la Divina Misericordia.

 

Al termine della Santa Messa celebrata sul sagrato della Basilica Vaticana per la Canonizzazione di 7 Beati, prima di recitare l’Angelus, il Santo Padre Francesco ha rivolto ai presenti le parole che riportiamo di seguito:


Al termine di questa celebrazione, desidero salutare cordialmente tutti voi, che da vari Paesi siete venuti per rendere omaggio ai nuovi Santi. Un deferente pensiero va in modo particolare alle Delegazioni ufficiali di Argentina, Spagna, Francia, Italia, Messico. L’esempio e l’intercessione di questi luminosi testimoni sostengano l’impegno di ciascuno nei rispettivi ambiti di lavoro e di servizio, per il bene della Chiesa e della comunità civile.

Domani ricorre la Giornata mondiale contro la povertà. Uniamo le nostre forze, morali ed economiche, per lottare insieme contro la povertà che degrada, offende e uccide tanti fratelli e sorelle, attuando politiche serie per le famiglie e per il lavoro.

Alla Vergine Maria affidiamo ogni nostra intenzione, specialmente la nostra insistente e accorata preghiera per la pace.

 

 

 

  

 

 

Udienza del Santo Padre Francesco

ai Membri dell’Associazione Nazionale Lavoratori Anziani

e della Senior Italia FederAnzianial pellegrinaggio dei luterani


Aula Paolo VI, sabato 15 Ottobre 2016

 

%_tempFileName01316_15102016%

 

Alle ore 11.30 di sabato 15 Ottobre, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza l’Associazione Nazionale Lavoratori Anziani e la Federazione Senior Italia FederAnziani in occasione di una giornata di riflessione e preghiera inserita nel contesto della Festa dei Nonni.

Nel corso dell’incontro, dopo gli indirizzi di omaggio dei Presidenti di entrambe le Associazioni, il Papa ha rivolto ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Mi rallegro di vivere insieme con voi questa giornata di riflessione e preghiera, inserita nel contesto della Festa dei Nonni. Vi saluto tutti con affetto, ad iniziare dai presidenti delle Associazioni, che ringrazio per le loro parole. Esprimo il mio apprezzamento a quanti hanno affrontato difficoltà e disagi pur di non mancare a questo appuntamento; e al tempo stesso sono vicino a tutte le persone anziane, sole o ammalate, che non hanno potuto muoversi da casa, ma che sono spiritualmente unite a noi.

La Chiesa guarda alle persone anziane con affetto, riconoscenza e grande stima. Esse sono parte essenziale della comunità cristiana e della società. Non so se avete sentito bene: gli anziani sono parte essenziale della comunità cristiana e della società. In particolare rappresentano le radici e la memoria di un popolo. Voi siete una presenza importante, perché la vostra esperienza costituisce un tesoro prezioso, indispensabile per guardare al futuro con speranza e responsabilità. La vostra maturità e saggezza, accumulate negli anni, possono aiutare i più giovani, sostenendoli nel cammino della crescita e dell’apertura all’avvenire, nella ricerca della loro strada. Gli anziani, infatti, testimoniano che, anche nelle prove più difficili, non bisogna mai perdere la fiducia in Dio e in un futuro migliore. Sono come alberi che continuano a portare frutto: pur sotto il peso degli anni, possono dare il loro contributo originale per una società ricca di valori e per l’affermazione della cultura della vita.

Non sono pochi gli anziani che impiegano generosamente il loro tempo e i talenti che Dio ha loro concesso aprendosi all’aiuto e al sostegno verso gli altri. Penso a quanti si rendono disponibili nelle parrocchie per un servizio davvero prezioso: alcuni si dedicano al decoro della casa del Signore, altri come catechisti, animatori della liturgia, testimoni di carità. E che dire del loro ruolo nell’ambito familiare? Quanti nonni si prendono cura dei nipoti, trasmettendo con semplicità ai più piccoli l’esperienza della vita, i valori spirituali e culturali di una comunità e di un popolo! Nei Paesi che hanno subito una grave persecuzione religiosa, sono stati i nonni a trasmettere la fede alle nuove generazioni, conducendo i bambini a ricevere il battesimo in un contesto di sofferta clandestinità.

In un mondo come quello attuale, nel quale sono spesso mitizzate la forza e l’apparenza, voi avete la missione di testimoniare i valori che contano davvero e che rimangono per sempre, perché sono inscritti nel cuore di ogni essere umano e garantiti dalla Parola di Dio. Proprio in quanto persone della cosiddetta terza età voi, o meglio noi – perché anch’io ne faccio parte –, siamo chiamati a operare per lo sviluppo della cultura della vita, testimoniando che ogni stagione dell’esistenza è un dono di Dio e ha una sua bellezza e una sua importanza, anche se segnate da fragilità.

A fronte di tanti anziani che, nei limiti delle loro possibilità, continuano a prodigarsi per il prossimo, ce ne sono tanti che convivono con la malattia, con difficoltà motorie e hanno bisogno di assistenza. Ringrazio oggi il Signore per le molte persone e strutture che si dedicano a un quotidiano servizio agli anziani, per favorire adeguati contesti umani, in cui ognuno possa vivere degnamente questa importante tappa della propria vita. Gli istituti che ospitano gli anziani sono chiamati ad essere luoghi di umanità e di attenzione amorevole, dove le persone più deboli non vengono dimenticate o trascurate, ma visitate, ricordate e custodite come fratelli e sorelle maggiori. Si esprime così la riconoscenza verso coloro che hanno dato tanto alla comunità e sono la sua radice.

Le istituzioni e le diverse realtà sociali possono fare ancora molto per aiutare gli anziani ad esprimere al meglio le loro capacità, per facilitare la loro attiva partecipazione, soprattutto per far sì che la loro dignità di persone sia sempre rispettata e valorizzata. Per fare questo bisogna contrastare la cultura nociva dello scarto, che emargina gli anziani ritenendoli improduttivi. I responsabili pubblici, le realtà culturali, educative e religiose, come anche tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati a impegnarsi per costruire una società sempre più accogliente e inclusiva.

E questo dello scarto è brutto! Una delle mie nonne mi raccontava questa storia, che in una famiglia il nonno abitava con loro[figli e nipoti], era vedovo, ma incominciò ad ammalarsi, ammalarsi…, e a tavola non mangiava bene, e gli cadeva un po’ del pasto. Un giorno il papà ha deciso che il nonno non mangiasse più con loro a tavola, ma in cucina, e ha fatto un tavolino piccolo per il nonno. Così, la famiglia mangiava senza il nonno. Alcuni giorni dopo, quando tornò a casa dal lavoro, trovò uno dei suoi figli piccolini che giocava con il legno, i chiodi, i martelli… “Ma cosa stai facendo?” [gli chiese il papà]. Il bambino gli rispose: “Sto facendo un tavolo” – “Ma perché?” – “Per te. Perché quando tu diventi vecchio, possa mangiare così”. I bambini naturalmente sono molto attaccati ai nonni e capiscono cose che soltanto i nonni possono spiegare con la loro vita, con il loro atteggiamento. Questa cultura dello scarto dice: “Tu sei vecchio, vai fuori”. Tu sei vecchio, sì, ma hai tante cose da dirci, da raccontarci, di storia, di cultura, della vita, dei valori… Non bisogna lasciare che questa cultura dello scarto vada avanti, ma che sempre ci sia una cultura inclusiva.

E’ importante anche favorire il legame tra generazioni. Il futuro di un popolo richiede l’incontro tra giovani e anziani: i giovani sono la vitalità di un popolo in cammino e gli anziani rafforzano questa vitalità con la memoria e la saggezza. E parlate con i vostri nipotini, parlate. Lasciate che loro vi facciano domande. Sono di una peculiarità diversa dalla nostra, fanno altre cose, a loro piacciono altre musiche…, ma hanno bisogno degli anziani, di questo dialogo continuo. Anche per dare loro la saggezza. Mi fa tanto bene leggere di quando Giuseppe e Maria portarono il Bambino Gesù – aveva 40 giorni, il bambino – al tempio; e lì trovarono due nonni [Simeone e Anna], e questi nonni erano la saggezza del popolo; lodavano Dio perché questa saggezza potesse andare avanti con questo Bambino. Sono i nonni ad accogliere Gesù nel tempio, non il sacerdote: questo viene dopo. I nonni. E leggete questo, nel Vangelo di Luca, è bellissimo!

Cari nonni e care nonne, grazie per l’esempio che offrite di amore, di dedizione e di saggezza. Continuate con coraggio a testimoniare questi valori! Non manchino alla società il vostro sorriso e la bella luminosità dei vostri occhi: che la società possa vederli! Io vi accompagno con la mia preghiera, e anche voi non dimenticatevi di pregare per me. E ora su di voi e sui vostri propositi e progetti di bene, invoco la benedizione del Signore.

Adesso preghiamo la nonna di Gesù, Sant’Anna; preghiamo Sant’Anna, che è la nonna di Gesù, e lo facciamo in silenzio, un attimino. Ognuno chieda a Sant’Anna che ci insegni a essere buoni e saggi nonni. Grazie.

 

 

  

 

 

Visita del Santo Padre Francesco

al «Villaggio SOS»


Roma, Venerdì della misericordia, 14 Ottobre 2016

 

 

Nel pomeriggio di venerdì 14 Ottobre Papa Francesco si è recato nella zona di Boccea, presso il “Villaggio SOS” di Roma, una casa famiglia che accoglie bambini su segnalazione dei Servizi Sociali e del Tribunale, in condizioni di disagio personale, familiare e sociale.

Il Villaggio è composto da cinque case, in ognuna delle quali ci sono un massimo di sei bambini e bambine fino a 12 anni di età, insieme a una responsabile, una “Mamma SOS”. Il Villaggio è strutturato in modo da riuscire a seguire e supportare i bambini durante la loro crescita, accompagnandoli come una famiglia vera e propria attraverso le varie tappe di crescita e di integrazione nella società. I bambini, infatti, vengono accompagnati a scuola, frequentano la parrocchia e fanno sport. I professionisti, residenti, non residenti o volontari, che operano nel centro seguono i bambini per un periodo di diversi anni, contribuendo a creare rapporti umani stabili, che li aiutano a raggiungere un’adeguata autonomia. Nel Villaggio, poi, sono presenti anche ragazzi più grandi, che hanno scelto di restare vicini al Centro per continuare ad avere un supporto e un punto di riferimento, oltre che per dare una mano nelle attività quotidiane.

Il Villaggio SOS riprende il modello pedagogico e organizzativo del primo Villaggio SOS, fondato in Austria nel 1949. Paolo e Maria, che dirigono il Villaggio di Roma, hanno avuto modo di raccontare a Papa Francesco la storia di Hermann Gmeiner, un giovane studente di medicina austriaco che, profondamente colpito dalle centinaia di bambini rimasti senza i propri genitori a causa delle devastazioni della guerra, aprì in Austria il primo Villaggio SOS, sviluppando un modello educativo vicino per umanità al calore di una famiglia vera, in forte contrapposizione al modello dell’orfanotrofio, diffuso a quel tempo.

I bambini e le bambine, accompagnati dal personale del Centro, hanno condotto il Papa nella zona verde a disposizione del Villaggio, che ospita anche un campetto da calcio e un piccolo parco giochi. Quindi hanno mostrato le loro camerette e i loro giocattoli al Santo Padre, che ha ascoltato i loro racconti e si è fermato anche per una piccola merenda con loro.

Dopo la visita ai bambini del "Villaggio SOS" di Roma, Papa Francesco si è recato a visitare il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, ricoverato nella Casa di Cura "Villa Betania"; quindi verso le 17:30 è rientrato in Vaticano.

 

 

  

 

 

Udienza del Santo Padre Francesco

ai partecipanti al pellegrinaggio dei luterani


Aula Paolo VI, giovedì 13 Ottobre 2016

 

%_tempFileName00707_13102016%

 

Alle ore 11.45 di giovedì 13 Ottobre, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza circa mille partecipanti ad un pellegrinaggio ecumenico di luterani.

Riportiamo di seguito le parole di saluto che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’incontro:


Cari amici,

mi rallegro molto di incontrarvi in occasione del vostro pellegrinaggio ecumenico, iniziato dalla regione di Lutero, in Germania, e terminato qui presso la sede del Vescovo di Roma. Un cordiale saluto rivolgo ai Vescovi che vi hanno accompagnato e li ringrazio per avere sostenuto questa bella iniziativa.

Rendiamo grazie a Dio perché oggi, luterani e cattolici, stiamo camminando sulla via che va dal conflitto alla comunione. Abbiamo percorso insieme già un importante tratto di strada. Lungo il cammino proviamo sentimenti contrastanti: dolore per la divisione che ancora esiste tra noi, ma anche gioia per la fraternità già ritrovata. La vostra presenza così numerosa ed entusiasta è un segno evidente di questa fraternità, e ci riempie della speranza che possa continuare a crescere la reciproca comprensione.

L’Apostolo Paolo ci dice che, in virtù del nostro battesimo, tutti formiamo l’unico Corpo di Cristo. Le diverse membra, infatti, formano un solo corpo. Per questo apparteniamo gli uni agli altri e quando uno soffre, tutti soffrono, quando uno gioisce, tutti gioiscono (cfr 1 Cor 12,12-26). Possiamo continuare con fiducia il nostro cammino ecumenico, perché sappiamo che, al di là di tante questioni aperte che ancora ci separano, siamo già uniti. Quello che ci unisce è molto di più di quello che ci divide!

Alla fine di questo mese, a Dio piacendo, mi recherò a Lund, in Svezia, e insieme alla Federazione Luterana Mondiale faremo memoria, dopo cinque secoli, dell’inizio della riforma di Lutero e ringrazieremo il Signore per cinquant’anni di dialogo ufficiale tra luterani e cattolici. Parte essenziale di questa commemorazione sarà il rivolgere i nostri sguardi verso il futuro, in vista di una testimonianza cristiana comune al mondo di oggi, che tanto ha sete di Dio e della sua misericordia. La testimonianza che il mondo si aspetta da noi è soprattutto quella di rendere visibile la misericordia che Dio ha nei nostri confronti attraverso il servizio ai più poveri, agli ammalati, a chi ha abbandonato la propria terra per cercare un futuro migliore per sé e per i propri cari. Nel metterci a servizio dei più bisognosi sperimentiamo di essere già uniti: è la misericordia di Dio che ci unisce.

Cari giovani, vi incoraggio ad essere testimoni di misericordia. Mentre i teologi portano avanti il dialogo nel campo dottrinale, voi continuate a cercare con insistenza occasioni per incontrarvi, conoscervi meglio, pregare insieme e offrire il vostro aiuto gli uni agli altri e a tutti coloro che sono nel bisogno. Così, liberi da ogni pregiudizio e fidandovi solo del Vangelo di Gesù Cristo, che annuncia la pace e la riconciliazione, sarete veri protagonisti di una nuova stagione di questo cammino, che, con l’aiuto di Dio, condurrà alla piena comunione. Io vi assicuro la mia preghiera, e voi, per favore, pregate per me, che ne ho tanto bisogno. Grazie!

 

 

  

 

 La catechesi del Santo Padre Francesco all’Udienza Generale 

 

Piazza San Pietro, mercoledì 12 Ottobre 2016

 

%_tempFileName317405_12102016%

 

  

L’Udienza Generale di mercoledì 12 Ottobre si è svolta alle ore 10 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando la catechesi sulla misericordia, ha incentrato la Sua meditazione sul tema: “Le Opere di Misericordia corporali e spirituali” (cfr. Mt25, 31-36).

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto due Appelli, uno per le vittime del disumano conflitto in Siria e un altro per la Giornata internazionale per la riduzione dei disastri naturali che ricorre domani.

L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nelle catechesi precedenti ci siamo addentrati poco alla volta nel grande mistero della misericordia di Dio. Abbiamo meditato sull’agire del Padre nell’Antico Testamento e poi, attraverso i racconti evangelici, abbiamo visto come Gesù, nelle sue parole e nei suoi gesti, sia l’incarnazione della Misericordia. Egli, a sua volta, ha insegnato ai suoi discepoli: «Siate misericordiosi come il Padre» (Lc 6,36). È un impegno che interpella la coscienza e l’azione di ogni cristiano. Infatti, non basta fare esperienza della misericordia di Dio nella propria vita; bisogna che chiunque la riceve ne diventi anche segno e strumento per gli altri. La misericordia, inoltre, non è riservata solo a dei momenti particolari, ma abbraccia tutta la nostra esistenza quotidiana.

Come, dunque, possiamo essere testimoni di misericordia? Non pensiamo che si tratti di compiere grandi sforzi o gesti sovraumani. No, non è così. Il Signore ci indica una strada molto più semplice, fatta di piccoli gesti che hanno però ai suoi occhi un grande valore, a tal punto che ci ha detto che su questi saremo giudicati. Infatti, una pagina tra le più belle del Vangelo di Matteo ci riporta l’insegnamento che potremmo ritenere in qualche modo come il “testamento di Gesù” da parte dell’evangelista, che sperimentò direttamente su di sé l’azione della Misericordia. Gesù dice che ogni volta che diamo da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete, che vestiamo una persona nuda e accogliamo un forestiero, che visitiamo un ammalato o un carcerato, lo facciamo a Lui (cfrMt 25,31-46). La Chiesa ha chiamato questi gesti “opere di misericordia corporale”, perché soccorrono le persone nelle loro necessità materiali.

Ci sono però anche altre sette opere di misericordia dette “spirituali”, che riguardano altre esigenze ugualmente importanti, soprattutto oggi, perché toccano l’intimo delle persone e spesso fanno soffrire di più. Tutti certamente ne ricordiamo una che è entrata nel linguaggio comune: “Sopportare pazientemente le persone moleste”. E ci sono; ce ne sono di persone moleste! Potrebbe sembrare una cosa poco importante, che ci fa sorridere, invece contiene un sentimento di profonda carità; e così è anche per le altre sei, che è bene ricordare: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, pregare Dio per i vivi e per i morti. Sono cose di tutti i giorni! “Ma io sono afflitto…”- “Ma Dio ti aiuterà, non ho tempo…”. No! Mi fermo, lo ascolto, perdo il tempo e consolo lui, quello è un gesto di misericordia e quello è fatto non solo a lui, è fatto a Gesù!

Nelle prossime Catechesi ci soffermeremo su queste opere, che la Chiesa ci presenta come il modo concreto di vivere la misericordia. Nel corso dei secoli, tante persone semplici le hanno messe in pratica, dando così genuina testimonianza della fede. La Chiesa d’altronde, fedele al suo Signore, nutre un amore preferenziale per i più deboli. Spesso sono le persone più vicine a noi che hanno bisogno del nostro aiuto. Non dobbiamo andare alla ricerca di chissà quali imprese da realizzare. È meglio iniziare da quelle più semplici, che il Signore ci indica come le più urgenti. In un mondo purtroppo colpito dal virus dell’indifferenza, le opere di misericordia sono il miglior antidoto. Ci educano, infatti, all’attenzione verso le esigenze più elementari dei nostri «fratelli più piccoli» (Mt25,40), nei quali è presente Gesù. Sempre Gesù è presente lì. Dove c’è un bisogno, una persona che ha un bisogno, sia materiale che spirituale, Gesù è lì. Riconoscere il suo volto in quello di chi è nel bisogno è una vera sfida contro l’indifferenza. Ci permette di essere sempre vigilanti, evitando che Cristo ci passi accanto senza che lo riconosciamo. Torna alla mente la frase di Sant’Agostino: «Timeo Iesum transeuntem» (Serm., 88, 14, 13), “Ho paura che il Signore passi” e non lo riconosca, che il Signore passi davanti a me in una di queste persone piccole, bisognose e io non me ne accorga che è Gesù. Ho paura che il Signore passi e non lo riconosca! Mi sono domandato perché Sant’Agostino ha detto di temere il passaggio di Gesù. La risposta, purtroppo, è nei nostri comportamenti: perché spesso siamo distratti, indifferenti, e quando il Signore ci passa vicino noi perdiamo l’occasione dell’incontro con Lui.

Le opere di misericordia risvegliano in noi l’esigenza e la capacità di rendere viva e operosa la fede con la carità. Sono convinto che attraverso questi semplici gesti quotidiani possiamo compiere una vera rivoluzione culturale, come è stato in passato. Se ognuno di noi, ogni giorno, ne fa una di queste, questa sarà una rivoluzione nel mondo! Ma tutti, ognuno di noi. Quanti Santi sono ancora oggi ricordati non per le grandi opere che hanno realizzato ma per la carità che hanno saputo trasmettere! Pensiamo a Madre Teresa, da poco canonizzata: non la ricordiamo per le tante case che ha aperto nel mondo, ma perché si chinava su ogni persona che trovava in mezzo alla strada per restituirle la dignità. Quanti bambini abbandonati ha stretto tra le sue braccia; quanti moribondi ha accompagnato sulla soglia dell’eternità tenendoli per mano! Queste opere di misericordia sono i tratti del Volto di Gesù Cristo che si prende cura dei suoi fratelli più piccoli per portare a ciascuno la tenerezza e la vicinanza di Dio. Che lo Spirito Santo ci aiuti, che lo Spirito Santo accenda in noi il desiderio di vivere con questo stile di vita: almeno farne una ogni giorno, almeno! Impariamo di nuovo a memoria le opere di misericordia corporale e spirituale e chiediamo al Signore di aiutarci a metterle in pratica ogni giorno e nel momento nel quale vediamo Gesù in una persona che è nel bisogno.

 

Saluti in francese:

Saluto cordialmente i fedeli di lingua francese, in particolare i pellegrinaggi delle Diocesi di Quimper, Le Havre e Cahors, accompagnati dai loro vescovi, lo Studium di Notre Dame de Vie, il Liceo San Giovanni Hulst di Versailles, come pure i pellegrini venuti da Haïti, dalla Repubblica Democratica del Congo e dalla Svizzera.

Cari pellegrini, attraverso la carità che essi esprimono, dei semplici gesti di misericordia possono compiere una vera rivoluzione culturale di cui il nostro mondo indifferente ha bisogno. Lasciamo che lo Spirito Santo accenda in noi il desiderio di portare agli altri la tenerezza e la prossimità di Dio. Dio vi benedica!


Saluti in inglese:

Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra, Jersey, Irlanda, Danimarca, Ghana, Namibia, Nigeria, Australia, Nuova Zelanda, Indonesia, Giappone, Malaysia, Filippine e Stati Uniti d’America. Con fervidi auguri che il presente Giubileo della Misericordia sia per voi e per le vostre famiglie un tempo di grazia e di rinnovamento spirituale, invoco su voi tutti la gioia e la pace del Signore Gesù. 

Saluti in tedesco:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua tedesca, in particolare ai gruppi delle Diocesi di Köln, Essen, Münster e Speyer, accompagnati dai loro Vescovi, nonché ai seminaristi di Mainz e ai giovani di Trier, come pure ai familiari e amici dei neopresbiteri del Collegio Germanico e Ungarico. La Vergine Maria, alla cui intercessione ci affidiamo nella preghiera del Santo Rosario, vi accompagni sempre.

Saluti in portoghese:

Carissimi pellegrini di lingua portoghese, vi saluto cordialmente tutti, con una menzione speciale per il gruppo di Cabanelas e Cervães, di São Paulo e per i membri della Comunità Shalom. Impariamo di nuovo a memoria le opere di misericordia e chiediamo al Signore di aiutarci a metterle in pratica ogni giorno. Su di voi e sulle vostre famiglie, scenda, misericordiosa, la Benedizione di Dio.

Saluti in arabo:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare al Vicario Generale della Custodia di Terra Santa, Fra Dobromir Jasztal con gli operai che restaurano la Basilica della Natività di Betlemme. Cari fratelli e sorelle, le opere di misericordia sono al cuore della nostra fede in Dio, riscopriamole e incarniamole nella nostra vita. Il Signore vi benedica!

Saluti in polacco:

Saluto i pellegrini polacchi. Fratelli e sorelle, mentre viviamo l’Anno Giubilare della Misericordia e beneficiamo dei doni dell’amore di Dio, chiediamo allo Spirito Santo di accendere in noi il desiderio di compiere ogni giorno le opere di misericordia corporali e spirituali, affinché rispondiamo a quest’amore, portandolo ai più bisognosi. Ricordiamoci che tutto ciò che facciamo ai fratelli, lo facciamo a Cristo stesso che è in loro. La sua benedizione vi accompagni sempre!

 

Saluti in slovacco:

Con affetto do il benvenuto ai pellegrini slovacchi, specialmente ai gruppi parrocchiali.
Cari fratelli e sorelle, il Santo Rosario è preghiera di comunione. Vi invito a rafforzare questa unione con Cristo, con sua Madre Maria e con i fratelli. Vi affido tutti alla materna intercessione della Madonna del Rosario. Con questo augurio benedico voi ed i vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluti in ungherese:

Saluto cordialmente i pellegrini ungheresi di Budapest, di Lövéte e di Brasov dell'Arcidiocesi di Alba Iulia, che sono venuti per l'ordinazione diaconale degli alunni del Pontificio Collegio Germanico-Ungarico. Isten éltessen!

Oggi ho parlato delle opere di misericordia. Invocando la celeste intercessione della Regina Hungariae, per ottenere le grazie speciali dell'Anno della Misericordia, imparto di cuore a voi ed ai vostri cari la Benedizione Apostolica!

 


Saluti in italiano:

 

Cari pellegrini di lingua italiana: benvenuti!

Sono lieto di accogliere i fedeli delle Diocesi di Cremona, Pescia, Anagni-Alatri e Conversano-Monopoli, accompagnati dai rispettivi Pastori, e li esorto a trarre frutto dal Giubileo che stiamo celebrando, per essere annunziatori del Vangelo con una coerente testimonianza di vita. Saluto le Suore di Santa Elisabetta, qui convenute in occasione del Capitolo Generale, ed auspico che il carisma di fondazione venga riscoperto nella prospettiva della Divina Misericordia. Saluto i giovani del Festival del Folklore di Cori; i partecipanti alla Conferenza Europea delle Radio Cristiane e la Fondazione Opera Santa Rita di Prato con il Vescovo Mons. Franco Agostinelli. Il passaggio della Porta Santa sia un atto di fede personale e comunitario, e stimoli tutti all’esercizio delle opere di misericordia nei propri ambienti!

Sono lieto di accogliere i fedeli delle Diocesi di Cremona, Pescia, Anagni-Alatri e Conversano-Monopoli, accompagnati dai rispettivi Pastori, e li esorto a trarre frutto dal Giubileo che stiamo celebrando, per essere annunziatori del Vangelo con una coerente testimonianza di vita. Saluto le Suore di Santa Elisabetta, qui convenute in occasione del Capitolo Generale, ed auspico che il carisma di fondazione venga riscoperto nella prospettiva della Divina Misericordia. Saluto i giovani del Festival del Folklore di Cori; i partecipanti alla Conferenza Europea delle Radio Cristiane e la Fondazione Opera Santa Rita di Prato con il Vescovo Mons. Franco Agostinelli. Il passaggio della Porta Santa sia un atto di fede personale e comunitario, e stimoli tutti all’esercizio delle opere di misericordia nei propri ambienti.

Rivolgo un saluto speciale agli organizzatori e ai partecipanti alla “Partita per la pace e la solidarietà” che si terrà questa sera allo Stadio Olimpico.

Porgo un saluto infine ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la memoria di San Giovanni XXIII. Invocate la sua celeste intercessione, cari giovaniper imitare la dolcezza del suo amore paterno; pregatelo nei momenti della croce e della sofferenza, cari ammalati, per affrontare le difficoltà con la stessa sua mansuetudine; imparate da Lui, cari sposi novelli, l’arte dell’educare i figli con la tenerezza e con l’esempio.

 

 

 

Appello per la Siria:

Voglio sottolineare e ribadire la mia vicinanza a tutte le vittime del disumano conflitto in Siria. È con un senso di urgenza che rinnovo il mio appello, implorando, con tutta la mia forza, i responsabili, affinché si provveda a un immediato cessate il fuoco, che sia imposto e rispettato almeno per il tempo necessario a consentire l’evacuazione dei civili, soprattutto dei bambini, che sono ancora intrappolati sotto i bombardamenti cruenti.

 

Appello per la Giornata internazionale per la riduzione dei disastri naturali:

Domani, 13 ottobre, ricorre la Giornata internazionale per la riduzione dei disastri naturali, che quest’anno propone il tema: “Ridurre la mortalità”. Infatti i disastri naturali potrebbero essere evitati o quanto meno limitati, poiché i loro effetti sono spesso dovuti a mancanze di cura dell’ambiente da parte dell’uomo. Incoraggio pertanto a unire gli sforzi in modo lungimirante nella tutela della nostra casa comune, promuovendo una cultura di prevenzione, con l’aiuto anche delle nuove conoscenze, riducendo i rischi per le popolazioni più vulnerabili.

 

 

  

 

Udienza del Santo Padre Francesco

ai partecipanti alla Conferenza dei Segretari del

“Christian World Communions”


Auletta dell’Aula Paolo VI, mercoledì 12 Ottobre 2016

 

%_tempFileName00036_12102016%

 

Alle ore 9 di mercoledì 12 Ottobre, nell’Auletta dell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti alla Conferenza dei Segretari del “Christian World Communions”.

Pubblichiamo di seguito le parole di saluto che il Papa ha rivolto a braccio ai presenti:

 

Due cose hanno attirato la mia attenzione di quello che Lei [il Capo della Delegazione] ha detto. Prima cosa: Gesù è con noi. Seconda cosa: Gesù è in cammino con noi. Queste cose mi fanno riflettere e mi pongono due domande: io sono capace di credere che Gesù è con noi? Io sono capace di camminare con tutti, insieme, anche con Gesù? Tante volte pensiamo che il lavoro ecumenico è soltanto quello dei teologi. Per questo è importante che i teologi studino, si mettano d’accordo ed esprimano il disaccordo; questo è molto importante. Ma, nel frattempo, l’ecumenismo si fa in cammino. E in cammino con Gesù, non con il mio Gesù contro il tuo Gesù, ma con il nostro Gesù. Il cammino è semplice: si fa con la preghiera e con l’aiuto agli altri. Pregare insieme: l’ecumenismo della preghiera, gli uni per gli altri e tutti per l’unità. E poi, l’ecumenismo del lavoro per tanti bisognosi, per tanti uomini e donne che oggi soffrono ingiustizie, guerre… queste cose terribili. Tutti insieme dobbiamo aiutare. La carità verso il prossimo. Questo è ecumenismo. Questa è già unità. Unità in cammino con Gesù.

C’è un altro ecumenismo che dobbiamo riconoscere e che oggi è tanto attuale: l’ecumenismo del sangue. Quando i terroristi o le potenze mondiali perseguitano le minoranze cristiane o i cristiani, quando fanno questo non si domandano: “Ma tu sei luterano? Tu sei ortodosso? Tu sei cattolico? Tu sei riformato? Tu sei pentecostale?”, no. “ Tu sei cristiano”. Loro riconoscono uno solo: il cristiano. Il nemico non sbaglia, sa bene riconoscere dove è Gesù. È questo l’ecumenismo del sangue. Oggi ne siamo testimoni, e penso ai frati ortodossi copti sgozzati sulle spiagge della Libia per esempio: sono nostri fratelli. Loro hanno dato testimonianza di Gesù e sono morti dicendo: “Gesù aiutami!”. Con il nome: hanno confessato il nome di Gesù.

Così, ecumenismo della preghiera, ecumenismo del cammino; e il nemico ci insegna l’ecumenismo del sangue. Grazie tante. Grazie tante di questa visita.

 

 

  

 

 Udienza del Santo Padre Francesco

ai partecipanti al Capitolo Generale

della Società dell’Apostolato Cattolico (Pallottini)


Sala Clementina del Palazzo Apostolico, lunedì 10 Ottobre 2016

 

%_tempFileName00222_10102016%

 

 

Alle ore 11.30 di lunedì 10 Ottobre, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti al Capitolo Generale della Società dell’Apostolato Cattolico (Pallottini).

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:

 

Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

Sono lieto di accogliervi in occasione della vostra ventunesima Assemblea Generale. Vi saluto cordialmente e ringrazio il Superiore Generale per le sue parole. Estendo il mio saluto a tutti i membri della Società dell’Apostolato Cattolico e a quanti condividono il carisma di san Vincenzo Pallotti. Egli è diventato un faro illuminante e ispiratore nella Chiesa. Il suo carisma è un dono prezioso dello Spirito Santo, perché ha suscitato e suscita varie forme di vita apostolica e sprona i fedeli ad impegnarsi attivamente nella testimonianza evangelica.

Il vostro Fondatore comprese che per poter vivere la comunione con Dio occorre mettere al centro Gesù Cristo, «il divino Modello di tutto il genere umano» (Opere complete II, p. 541). In questo Anno Santo della Misericordia, mi piace ricordare che Vincenzo Pallotti ebbe il dono di riconoscere che Gesù è l’Apostolo del Padre, grande nell’amore e ricco di misericordia, è Colui che compie la sua missione rivelando a tutti il tenero amore e l’infinita misericordia del Padre. Questo mistero della paternità di Dio, che apre ad ogni uomo, mediante l’opera del Figlio, il suo cuore pieno di amore e di compassione, acquista un particolare significato nei nostri tempi. Davanti ai nostri occhi scorrono ogni giorno scene di violenza, volti senza pietà, cuori induriti e desolati. Abbiamo tanto bisogno di ricordarci di quel Padre, il cui cuore pensa a tutti e vuole la salvezza di ogni uomo. La misericordia è «la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono» (Bolla Misericordiae Vultus, 9).

Le riflessioni della vostra Assemblea Generale sono incentrate sulle seguenti parole del vostro santo Fondatore: «La regola fondamentale della nostra minima Congregazione è la vita del nostro Signore Gesù Cristo per imitarlo con umiltà e fiducia con tutta la possibile perfezione in tutte le opere della vita nascosta e di pubblico ministero evangelico» (Opere complete III, p. 40). Alla luce di queste preziose indicazioni, ogni membro della Famiglia Pallottina è chiamato a porre come fondamento della propria esistenza la persona di Cristo e la fedele sequela di Lui.

Contemplando la vita di Gesù e guardando la nostra vita di pellegrini in questo mondo con tante sfide, avvertiamo la necessità di una profonda conversione e l’urgenza di ravvivare la fede in Lui. Solo così potremo servire il nostro prossimo nella carità! Ogni giorno siamo chiamati a rinnovare la fiducia in Cristo e dalla sua vita trarre ispirazione per compiere la nostra missione, perché «Gesù è il primo e il più grande evangelizzatore. In qualunque forma di evangelizzazione il primato è sempre di Dio, che ha voluto chiamarci a collaborare con Lui e stimolarci con la forza del suo Spirito» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 12).

Cari fratelli, vi incoraggio a proseguire con gioia e speranza il vostro cammino, impegnandovi con tutto il cuore e con tutte le forze, perché il carisma del vostro Fondatore porti frutti abbondanti anche nel nostro tempo. Egli amava ripetere che la chiamata all’apostolato non è riservata ad alcuni, ma è rivolta a tutti, «qualunque sia il loro stato, la loro condizione, la loro professione, la loro fortuna, tutti possono farvi parte» (Opere complete IV, p. 346). L’Unione dell’Apostolato Cattolico, che è portatrice del carisma di san Vincenzo Pallotti, offre tanti spazi e apre nuovi orizzonti per partecipare alla missione della Chiesa. Per questo essa è chiamata a operare con rinnovato slancio per risvegliare la fede e riaccendere la carità, specialmente tra le fasce più deboli della popolazione, povere spiritualmente e materialmente. In questo, siete sostenuti dall’esempio di tanti vostri confratelli, autentici testimoni del Vangelo, che hanno dedicato la loro vita al servizio degli altri. Ne ho conosciuti anch’io durante il mio servizio pastorale in Argentina e di essi conservo grata memoria.

Possiate aiutare quanti incontrate nel vostro ministero a riscoprire l’immenso amore di Dio nella nostra vita. Sulle orme di san Vincenzo Pallotti, che si considerava un prodigio della misericordia di Dio. Egli scrisse: «O Gesù mio, in te risplende l’eccesso incomprensibile del tuo infinito amore e della tua infinita misericordia» (Opere complete XIII, p. 169).

Affido tutti voi alla protezione di Maria Santissima, che san Vincenzo Pallotti venerava in modo particolare quale Regina degli Apostoli. Lei, esempio efficace dello zelo apostolico e della perfetta carità, ci invita alla preghiera incessante per invocare i doni dello Spirito Santo sugli apostoli di oggi, affinché il Vangelo del suo Figlio possa essere proclamato in ogni parte del mondo. Anch’io mi affido alle vostre preghiere e, mentre auguro i migliori frutti dai lavori della vostra Assemblea, di cuore vi imparto la Benedizione Apostolica.

 

 

  

 

Le parole del Santo Padre Francesco

alla recita dell’Angelus 

e annuncio di un nuovo Concistoro

Piazza San Pietro, domenica 9 Ottobre 2016

 

 

Al termine della Santa Messa celebrata sul sagrato della Basilica Vaticana in occasione del Giubileo Mariano, prima di recitare l’Angelus, il Santo Padre Francesco ha rivolto ai presenti le parole che riportiamo di seguito:

 

Cari fratelli e sorelle,

con dolore ho ricevuto le notizie circa le gravi conseguenze causate dall’uragano che nei giorni scorsi ha colpito i Caraibi, in particolare Haiti, lasciando numerose vittime e sfollati, oltre che ingenti danni materiali. Assicuro la mia vicinanza alle popolazioni ed esprimo fiducia nel senso di solidarietà della Comunità internazionale, delle istituzioni cattoliche e delle persone di buona volontà. Vi invito ad unirvi alla mia preghiera per questi fratelli e sorelle, così duramente provati.

Ieri a Oviedo (Spagna) sono stati proclamati Beati il sacerdote Gennaro Fueyo Castañón e tre fedeli laici. Lodiamo il Signore per questi eroici testimoni della fede, aggregati alla schiera dei martiri che hanno offerto la loro vita nel nome di Cristo.

Rivolgo il mio più cordiale saluto a tutti voi, cari pellegrini, che avete partecipato a questo Giubileo Mariano. Grazie della vostra presenza! Con voi vorrei ripetere le parole che san Giovanni Paolo II pronunciò l’8 ottobre del 2000, nell’Atto di Affidamento giubilare a Maria: «O Madre vogliamo affidarti il futuro che ci attende. L’umanità può fare di questo mondo un giardino, o ridurlo a un ammasso di macerie». In questo bivio, la Vergine ci aiuti a scegliere la vita, accogliendo e praticando il Vangelo di Cristo Salvatore.

 

Nel corso dell’Angelus di oggi, il Santo Padre Francesco ha annunciato un Concistoro per la creazione di nuovi cardinali. Queste le parole del Papa:

 

Cari fratelli e sorelle,

Sono lieto di annunciare che sabato 19 novembre, alla vigilia della chiusura della Porta Santa della Misericordia, terrò un Concistoro per la nomina di 13 nuovi Cardinali dei cinque Continenti. La loro provenienza da 11 Nazioni esprime l’universalità della Chiesa che annuncia e testimonia la Buona Novella della Misericordia di Dio in ogni angolo della terra. L’inserimento dei nuovi Cardinali nella diocesi di Roma, inoltre, manifesta l’inscindibile legame tra la sede di Pietro e le Chiese particolari diffuse nel mondo.

Domenica 20 novembre, Solennità di Cristo Re, a conclusione dell’Anno Santo Straordinario della Misericordia, concelebrerò la S. Messa con i nuovi Cardinali, con il Collegio Cardinalizio, con gli Arcivescovi, con i Vescovi e con i Presbiteri.

Ecco i nomi dei nuovi Cardinali:

1- Mons. Mario Zenari, che rimane Nunzio Apostolico nell’amata e martoriata Siria (Italia)

2- Mons. Dieudonné Nzapalainga, C.S.Sp., Arcivescovo di Bangui (Repubblica Centrafricana)

3- Mons. Carlos Osoro Sierra, Arcivescovo di Madrid (Spagna)

4- Mons. Sérgio da Rocha, Arcivescovo di Brasilia (Brasile)

5- Mons. Blase J. Cupich, Arcivescovo di Chicago (U.S.A.)

6- Mons. Patrick D’Rozario, C.S.C., Arcivescovo di Dhaka (Bangladesh)

7- Mons. Baltazar Enrique Porras Cardozo, Arcivescovo di Mérida (Venezuela)

8- Mons. Jozef De Kesel, Arcivescovo di Malines-Bruxelles (Belgio)

9- Mons. Maurice Piat, Arcivescovo di Port-Louis (Isola Maurizio)

10- Mons. Kevin Joseph Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita (U.S.A.)

11- Mons. Carlos Aguiar Retes, Arcivescovo di Tlalnepantla (Messico)

12- Mons. John Ribat, M.S.C., Arcivescovo di Port Moresby (Papua Nuova Guinea)

13- Mons. Joseph William Tobin, C.SS.R., Arcivescovo di Indianapolis (U.S.A.).

Ai Membri del Collegio Cardinalizio unirò anche un Arcivescovo e due Vescovi Emeriti che si sono distinti nel loro servizio pastorale ed un Presbitero che ha reso una chiara testimonianza cristiana. Essi rappresentano tanti Vescovi e sacerdoti che in tutta la Chiesa edificano il Popolo di Dio, annunciando l’amore misericordioso di Dio nella cura quotidiana del gregge del Signore e nella confessione della fede.

Essi sono:

1- Mons. Anthony Soter Fernandez, Arcivescovo Emerito di Kuala Lumpur (Malaysia)

2- Mons. Renato Corti, Vescovo Emerito di Novara (Italia)

3- Mons. Sebastian Koto Khoarai, O.M.I, Vescovo Emerito di Mohale’s Hoek (Lesotho)

4- Reverendo Ernest Simoni, Presbitero dell’Arcidiocesi di Shkodrë-Pult (Scutari – Albania).

Preghiamo per i nuovi Cardinali, affinché, confermando la loro adesione a Cristo, Sommo Sacerdote misericordioso e fedele (cf Eb 2,17), mi aiutino nel mio ministero di Vescovo di Roma e di “principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione” (cf LG, 18).

 

 

 

  

 

 Santa Messa presieduta dal Santo Padre Francesco

in occasione del Giubileo Mariano

 

Piazza San Pietro, domenica 9 Ottobre 2016

 

%_tempFileName04827_09102016%

 

Alle ore 10.30 del 9 Ottobre, XXVIII Domenica del Tempo Ordinario, sul Sagrato della Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco presiede la Santa Messa in occasione del Giubileo Mariano, indetto nei giorni 7-9 ottobre nel contesto delle celebrazioni del Giubileo della Misericordia.

Di seguito, riportiamo l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:

 

Il Vangelo di questa domenica (cfr Lc 17,11-19) ci invita a riconoscere con stupore e gratitudine i doni di Dio. Sulla strada che lo conduce alla morte e alla risurrezione, Gesù incontra dieci lebbrosi, che gli vanno incontro, si fermano a distanza e gridano la propria sventura a quell’uomo in cui la loro fede ha intuito un possibile salvatore: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!» (v. 13). Sono malati, e cercano qualcuno che li guarisca. Gesù, rispondendo, dice loro di andare a presentarsi ai sacerdoti, che, secondo la Legge, avevano l’incarico di constatare una eventuale guarigione. In questo modo egli non si limita a fare una promessa, ma mette alla prova la loro fede. In quel momento, infatti, i dieci non sono ancora guariti. Riacquistano la salute mentre sono in cammino, dopo aver obbedito alla parola di Gesù. Allora, tutti pieni di gioia, si presentano ai sacerdoti, e poi se ne andranno per la loro strada, dimenticando però il Donatore, cioè il Padre che li ha guariti mediante Gesù, il suo Figlio fatto uomo.

Uno soltanto fa eccezione: un samaritano, uno straniero che vive ai margini del popolo eletto, quasi un pagano! Quest’uomo non si accontenta di aver ottenuto la guarigione attraverso la propria fede, ma fa sì che tale guarigione raggiunga la sua pienezza tornando indietro ad esprimere la propria gratitudine per il dono ricevuto, riconoscendo in Gesù il vero Sacerdote che, dopo averlo rialzato e salvato, può metterlo in cammino e accoglierlo tra i suoi discepoli.

Saper ringraziare, saper lodare per quanto il Signore fa per noi, quanto è importante! E allora possiamo domandarci: siamo capaci di dire grazie? Quante volte ci diciamo grazie in famiglia, in comunità, nella Chiesa? Quante volte diciamo grazie a chi ci aiuta, a chi ci è vicino, a chi ci accompagna nella vita? Spesso diamo tutto per scontato! E questo avviene anche con Dio. È facile andare dal Signore a chiedere qualcosa, ma tornare a ringraziarlo… Per questo, Gesù sottolinea con forza la mancanza dei nove lebbrosi ingrati: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?» (Lc 17,17-18).

In questa giornata giubilare ci viene proposto un modello, anzi, il modello a cui guardare: Maria, la nostra Madre. Lei, dopo aver ricevuto l’annuncio dell’Angelo, lasciò sgorgare dal suo cuore un cantico di lode e di ringraziamento a Dio: «L’anima mia magnifica il Signore…». Chiediamo alla Madonna di aiutarci a comprendere che tutto è dono di Dio, e a saper ringraziare: allora, vi assicuro, la nostra gioia sarà piena. Solo colui che sa ringraziare, sperimenta la pienezza della gioia.

Per saper ringraziare, occorre anche l’umiltà. Nella prima Lettura abbiamo ascoltato la vicenda singolare di Naaman, comandante dell’esercito del re di Aram (cfr 2 Re 5,14-17). Ammalato di lebbra, per guarire accetta il suggerimento di una povera schiava e si affida alle cure del profeta Eliseo, che per lui è un nemico. Naaman è disposto però ad umiliarsi. Ed Eliseo non pretende niente da lui, gli ordina solo di immergersi nell’acqua del fiume Giordano. Tale richiesta lascia Naaman perplesso, addirittura contrariato: ma può essere veramente un Dio quello che chiede cose così banali? Vorrebbe tornarsene indietro, ma poi accetta di immergersi nel Giordano e subito guarisce.

Il cuore di Maria, più di ogni altro, è un cuore umile e capace di accogliere i doni di Dio. E Dio, per farsi uomo, ha scelto proprio lei, una semplice ragazza di Nazaret, che non viveva nei palazzi del potere e della ricchezza, che non ha compiuto imprese straordinarie. Chiediamoci – ci farà bene - se siamo disposti a ricevere i doni di Dio, o se preferiamo piuttosto chiuderci nelle sicurezze materiali, nelle sicurezze intellettuali, nelle sicurezze dei nostri progetti.

È significativo che Naaman e il samaritano siano due stranieri. Quanti stranieri, anche persone di altre religioni, ci danno esempio di valori che noi talvolta dimentichiamo o tralasciamo. Chi vive accanto a noi, forse disprezzato ed emarginato perché straniero, può insegnarci invece come camminare sulla via che il Signore vuole. Anche la Madre di Dio, insieme col suo sposo Giuseppe, ha sperimentato la lontananza dalla sua terra. Per lungo tempo anche Lei è stata straniera in Egitto, lontano dai parenti e dagli amici. La sua fede, tuttavia, ha saputo vincere le difficoltà. Teniamo stretta a noi questa fede semplice della Santa Madre di Dio; chiediamo a Lei di saper ritornare sempre a Gesù e dirgli il nostro grazie per i tanti benefici della sua misericordia.

 

 

  

 

 Veglia di preghiera presieduta dal Santo Padre Francesco

in occasione del Giubileo Mariano

 

Piazza San Pietro, sabato 8 Ottobre 2016

 

 

Alle ore 17.30 di sabato 8 Ottobre, sul Sagrato della Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto il Santo Rosario in occasione del Giubileo Mariano, indetto nei giorni 7-9 ottobre nel contesto delle celebrazioni del Giubileo della Misericordia. Prima dell’arrivo del Papa, i partecipanti all’evento hanno vissuto un momento di animazione, con preghiere e testimonianze.

Di seguito, riportiamo la meditazione pronunciata da Papa Francesco dopo la recita del Santo Rosario:

 

Cari fratelli e sorelle,

in questa Veglia abbiamo ripercorso i momenti fondamentali della vita di Gesù, in compagnia di Maria. Con la mente e il cuore siamo andati ai giorni del compimento della missione di Cristo nel mondo. La Risurrezione come segno dell’amore estremo del Padre che tutto riporta in vita e come anticipo della nostra condizione futura. L’Ascensione come condivisione della gloria del Padre, dove anche la nostra umanità trova un posto privilegiato. La Pentecoste, espressione della missione della Chiesa nella storia, fino alla fine dei tempi, sotto la guida dello Spirito Santo. Negli ultimi due misteri, inoltre, abbiamo contemplato la Vergine Maria nella gloria del Cielo, lei che fin dai primi secoli è stata invocata come Madre della Misericordia.

La preghiera del Rosario è, per molti aspetti, la sintesi della storia della misericordia di Dio che si trasforma in storia di salvezza per quanti si lasciano plasmare dalla grazia. I misteri che passano dinanzi a noi sono gesti concreti nei quali si sviluppa l’agire di Dio nei nostri confronti. Attraverso la preghiera e la meditazione della vita di Gesù Cristo, noi rivediamo il suo volto misericordioso che va incontro a tutti nelle varie necessità della vita. Maria ci accompagna in questo cammino, indicando il Figlio che irradia la misericordia stessa del Padre. Lei è davvero l’Odigitria, la Madre che indica il percorso che siamo chiamati a compiere per essere veri discepoli di Gesù. In ogni mistero del Rosario la sentiamo vicina a noi e la contempliamo come prima discepola di suo Figlio, la quale mette in pratica la volontà del Padre (cfr Lc 8,19-21).

La preghiera del Rosario non ci allontana dalle preoccupazioni della vita; al contrario, ci chiede di incarnarci nella storia di tutti i giorni per saper cogliere i segni della presenza di Cristo in mezzo a noi. Ogni volta che contempliamo un momento, un mistero della vita di Cristo, siamo invitati a riconoscere in quale modo Dio entra nella nostra vita, per poi accoglierlo e seguirlo. Scopriamo così la via che ci porta a seguire Cristo nel servizio ai fratelli. Accogliendo e assimilando dentro di noi alcuni avvenimenti salienti della vita di Gesù, noi partecipiamo alla sua opera di evangelizzazione perché il Regno di Dio cresca e si diffonda nel mondo. Siamo discepoli, ma anche missionari e portatori di Cristo, là dove Lui ci chiede di essere presente. Pertanto, non possiamo rinchiudere il dono della sua presenza dentro di noi. Al contrario, siamo chiamati a partecipare a tutti il suo amore, la sua tenerezza, la sua bontà, la sua misericordia. È la gioia della condivisione che non si ferma dinanzi a nulla, perché porta un annuncio di liberazione e di salvezza.

Maria ci permette di comprendere che cosa significa essere discepoli di Cristo. Lei, da sempre prescelta per essere la Madre, ha imparato a farsi discepola. Il suo primo atto è stato quello di porsi in ascolto di Dio. Ha obbedito all’annuncio dell’Angelo e ha aperto il suo cuore per accogliere il mistero della maternità divina. Ha seguito Gesù, mettendosi in ascolto di ogni parola che usciva dalla sua bocca (cfr Mc 3,31-35); ha conservato tutto nel suo cuore (cfr Lc 2,19) ed è diventata memoria vivente dei segni compiuti dal Figlio di Dio per suscitare la nostra fede.

Tuttavia, non basta soltanto ascoltare. Questo è certamente il primo passo, ma poi l’ascolto ha bisogno di tradursi in azione concreta. Il discepolo, infatti, mette la sua vita al servizio del Vangelo. È così che la Vergine Maria si recò subito da Elisabetta per aiutarla nella sua gravidanza (cfr Lc1,39-56); a Betlemme diede alla luce il Figlio di Dio (cfr Lc 2,1-7); a Cana si prese cura di due giovani sposi (cfr Gv 2,1-11); sul Golgota non indietreggiò davanti al dolore ma rimase sotto la croce di Gesù e, per sua volontà, divenne Madre della Chiesa (cfr Gv 19,25-27); dopo la Risurrezione, rincuorò gli Apostoli riuniti nel cenacolo in attesa dello Spirito Santo, che li trasformò in coraggiosi araldi del Vangelo (cfr At 1,14). In tutta la sua vita, Maria ha realizzato quanto è chiesto alla Chiesa di compiere in memoria perenne di Cristo. Nella sua fede, vediamo come aprire la porta del nostro cuore per obbedire a Dio; nella sua abnegazione, scopriamo quanto dobbiamo essere attenti alle necessità degli altri; nelle sue lacrime, troviamo la forza per consolare quanti sono nel dolore. In ognuno di questi momenti, Maria esprime la ricchezza della divina misericordia, che va incontro ad ognuno nelle necessità quotidiane.

Invochiamo questa sera la nostra tenera Madre del cielo, con la più antica preghiera con cui i cristiani si rivolgevano a Lei, soprattutto nei momenti di difficoltà e di martirio. Invochiamola nella certezza di essere soccorsi dalla sua materna misericordia, perché Lei, “gloriosa e benedetta”, possa essere protezione, aiuto e benedizione per ogni giorno della nostra vita:

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.

 

 

  

 

 Udienza del Santo Padre Francesco

ai partecipanti al Capitolo Generale dei Missionari Oblati

di Maria Immacolata

 

Sala Clementina del Palazzo Apostolico, venerdì 7 Ottobre 2016

 

Il Papa all'udienza con i Missionari Oblati di Maria in Sala Clementina - OSS_ROM

 

Alle ore 12.30 di venerdì 7 Ottobre, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti al Capitolo Generale dei Missionari Oblati di Maria Immacolata.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti all’Udienza:

 

Cari fratelli,

è con particolare gioia che accolgo voi, che rappresentate una Famiglia religiosa missionaria dedita all’evangelizzazione nella Chiesa. Vi saluto tutti con affetto, incominciando dal Superiore Generale, da poco eletto, e dal suo nuovo Consiglio. Siete qui per il Capitolo Generale, nell’anno in cui celebrate il bicentenario della vostra fondazione, per opera di Sant’Eugenio de Mazenod, giovane sacerdote desideroso di rispondere a una chiamata dello Spirito. All’inizio della sua storia, la vostra Congregazione si è adoperata a riaccendere la fede che la rivoluzione francese stava spegnendo nel cuore dei poveri delle campagne della Provenza, travolgendo anche tanti ministri della Chiesa. Nel giro di pochi decenni, si è diffusa nei cinque continenti, continuando il cammino iniziato dal Fondatore, un uomo che ha amato Gesù con passione e la Chiesa senza condizioni.

Oggi siete chiamati a rinnovare questo duplice amore, facendo memoria dei duecento anni di vita del vostro Istituto religioso. Questo vostro giubileo, per una felice e provvidenziale coincidenza, si inserisce nel Giubileo della Misericordia. E in effetti, gli Oblati di Maria Immacolata sono nati da un’esperienza di misericordia, vissuta dal giovane Eugenio un Venerdì Santo davanti a Gesù crocifisso. La misericordia sia sempre il cuore della vostra missione, del vostro impegno evangelizzatore nel mondo di oggi. Nel giorno della sua canonizzazione, san Giovanni Paolo II definì padre de Mazenod un “uomo dell’Avvento”, docile allo Spirito Santo nel leggere i segni dei tempi e assecondare l’opera di Dio nella storia della Chiesa. Queste caratteristiche siano presenti in voi, suoi figli. Siate anche voi “uomini dell’Avvento”, capaci di cogliere i segni dei tempi nuovi e guidare i fratelli sulle vie che Dio apre nella Chiesa e nel mondo.

La Chiesa sta vivendo, insieme al mondo intero, un’epoca di grandi trasformazioni, nei campi più diversi. Ha bisogno di uomini che portino nel cuore lo stesso amore per Gesù Cristo che abitava nel cuore del giovane Eugenio de Mazenod, e lo stesso amore senza condizioni per la Chiesa, che si sforza di essere sempre più casa aperta. È importante lavorare per una Chiesa che sia per tutti, una Chiesa pronta ad accogliere e accompagnare! Il lavoro da compiere per realizzare tutto ciò è vasto; e anche voi avete il vostro specifico contributo da offrire.

La vostra storia missionaria è la storia di tanti consacrati, che hanno offerto e sacrificato la vita per la missione, per i poveri, per raggiungere terre lontane dove ancora c’erano “pecore senza pastore”. Oggi, ogni terra è “terra di missione”, ogni dimensione dell’umano è terra di missione, che attende l’annuncio del Vangelo. Il Papa Pio XI vi definì “gli specialisti delle missioni difficili”. Il campo della missione oggi sembra allargarsi ogni giorno, abbracciando sempre nuovi poveri, uomini e donne dal volto di Cristo che chiedono aiuto, consolazione, speranza, nelle situazioni più disperate della vita. Pertanto c’è bisogno di voi, della vostra audacia missionaria, della vostra disponibilità a portare a tutti la Buona Notizia che libera e consola.

La gioia del Vangelo risplenda innanzitutto sul vostro volto, vi renda testimoni gioiosi. Seguendo l’esempio del Fondatore, la carità tra di voi sia la vostra prima regola di vita, la premessa di ogni azione apostolica; e lo zelo per la salvezza delle anime sia conseguenza naturale di questa carità fraterna.

Durante questi giorni di lavori capitolari, avete allargato lo sguardo e il cuore alle dimensioni del mondo. Questa esperienza fraterna di preghiera, confronto e discernimento comunitario sia stimolo per uno slancio missionario nuovo, punto di partenza per nuovi orizzonti, per incontrare nuovi poveri, per portarli insieme a voi ad incontrare Cristo Redentore. E’ necessario cercare risposte adeguate, evangeliche e coraggiose, agli interrogativi degli uomini e delle donne del nostro tempo. Per questo occorre guardare il passato con gratitudine, vivere il presente con passione e abbracciare il futuro con speranza, senza lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà che incontrate nella missione, ma forti della fedeltà alla vostra vocazione religiosa e missionaria.

Mentre la vostra Famiglia religiosa entra nel terzo secolo di vita, il Signore vi conceda di scrivere nuove pagine evangelicamente feconde, come quelle dei vostri confratelli che, nei duecento anni trascorsi, hanno testimoniato, qualche volta anche con il sangue, un grande amore a Cristo e alla Chiesa. Siete Oblati di Maria Immacolata. Questo nome, da sant’Eugenio definito “un passaporto per il Cielo”, sia per voi impegno costante nella missione. La Madonna sostenga i vostri passi, specialmente nei momenti della prova. Vi chiedo per favore di pregarla anche per me. Vi accompagni sempre nel vostro cammino la mia Benedizione che di cuore imparto a voi e all’intera vostra Congregazione.

 

 

   

 

 Celebrazione dei Vespri per il 50° anniversario dell’incontro

tra il Beato Paolo VI e l’Arcivescovo di Canterbury

e dell’istituzione del Centro Anglicano di Roma

 

Roma, Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Celio, mercoledì 5 Ottobre 2016

 

 

Alle ore 18.00 del 5 Ottobre, mercoledì della XXVII settimana del Tempo Ordinario, presso la Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Monte Celio in Roma, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione dei Vespri, con la partecipazione dell’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Justin Welby. Il rito si è tenuto in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’incontro tra il Beato Paolo VI e l’Arcivescovo di Canterbury Michael Ramsey e dell’istituzione del Centro Anglicano di Roma. Prima della celebrazione, il Papa e Sua Grazia Justin Welby hanno firmato una Dichiarazione comune.

Riportiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre ha pronunciato durante la celebrazione e il testo della Dichiarazione comune:

 

Il profeta Ezechiele, con un’immagine eloquente, descrive Dio come Pastore che raduna le sue pecore disperse. Esse si erano separate le une dalle altre «nei giorni nuvolosi e di caligine» (Ez34,12). Il Signore sembra così rivolgerci stasera, tramite il profeta, un duplice messaggio. In primo luogo un messaggio di unità: Dio, in quanto Pastore, vuole l’unità nel suo popolo e desidera che soprattutto i Pastori si spendano per questo. In secondo luogo, ci viene detto il motivo delle divisioni del gregge: nei giorni di nuvole e di caligine, abbiamo perso di vista il fratello che ci stava accanto, siamo diventati incapaci di riconoscerci e di rallegrarci dei nostri rispettivi doni e della grazia ricevuta. Questo è accaduto perché si sono addensate, attorno a noi, la caligine dell’incomprensione e del sospetto e, sopra di noi, le nuvole scure dei dissensi e delle controversie, formatesi spesso per ragioni storiche e culturali e non solo per motivi teologici.

Ma abbiamo la solida certezza che Dio ama dimorare tra noi, suo gregge e tesoro prezioso. Egli è un Pastore instancabile, che continua ad agire (cfr Gv 5,17), esortandoci a camminare verso una maggiore unità, che può essere raggiunta soltanto con l’aiuto della sua grazia. Perciò rimaniamo fiduciosi, perché in noi, che pure siamo fragili vasi di creta (cfr 2 Cor 4,7), Dio ama riversare la sua grazia. Egli è convinto che possiamo passare dalla caligine alla luce, dalla dispersione all’unità, dalla mancanza alla pienezza. Questo cammino di comunione è il percorso di tutti i cristiani ed è la vostra particolare missione, in quanto Pastori della Commissione internazionale anglicana-cattolica per l’unità e la missione.

È una grande chiamata quella ad operare come strumenti di comunione sempre e ovunque. Ciò significa promuovere al tempo stesso l’unità della famiglia cristiana e l’unità della famiglia umana. I due ambiti non solo non si oppongono, ma si arricchiscono a vicenda. Quando, come discepoli di Gesù, offriamo il nostro servizio in maniera congiunta, gli uni a fianco degli altri, quando promuoviamo l’apertura e l’incontro, vincendo la tentazione delle chiusure e degli isolamenti, operiamo contemporaneamente sia a favore dell’unità dei cristiani sia di quella della famiglia umana. Ci riconosciamo così come fratelli che appartengono a tradizioni diverse, ma sono spinti dallo stesso Vangelo a intraprendere la medesima missione nel mondo. Allora sarebbe sempre bene, prima di intraprendere qualche attività, che vi possiate porre queste domande: perché non facciamo questo insieme ai nostri fratelli anglicani?; possiamo testimoniare Gesù agendo insieme ai nostri fratelli cattolici?

È condividendo concretamente le difficoltà e le gioie del ministero che ci riavviciniamo gli uni agli altri. Che Dio vi conceda di essere promotori di un ecumenismo audace e reale, sempre in cammino nella ricerca di aprire nuovi sentieri, di cui beneficeranno in primo luogo i vostri confratelli nelle Province e nelle Conferenze Episcopali. Si tratta sempre e anzitutto di seguire l’esempio del Signore, la sua metodologia pastorale, che il profeta Ezechiele ci ricorda: andare in cerca della pecora perduta, ricondurre all’ovile quella smarrita, fasciare quella ferita, curare quella malata (cfr v. 16). Solo così si raduna il popolo disgregato.

Vorrei riferirmi al nostro cammino comune alla sequela di Cristo Buon Pastore, prendendo spunto dal bastone pastorale di san Gregorio Magno, che potrebbe ben simboleggiare il grande significato ecumenico di questo nostro incontro. Papa Gregorio da questo luogo sorgivo di missione scelse e inviò Sant’Agostino di Canterbury e i suoi monaci alle genti anglosassoni, inaugurando una grande pagina di evangelizzazione, che è nostra storia comune e ci lega inscindibilmente. Perciò è giusto che questo pastorale sia un simbolo condiviso del nostro cammino di unità e missione.

Al centro della parte ricurva del pastorale è rappresentato l’Agnello Risorto. In tal modo, mentre ci ricorda la volontà del Signore di radunare il gregge e di andare in cerca della pecora smarrita, il pastorale sembra indicarci anche il contenuto centrale dell’annuncio: l’amore di Dio in Gesù Crocifisso e Risorto, Agnello immolato e vivente. È l’amore che ha penetrato l’oscurità della tomba sigillata e ha spalancato le porte alla luce della vita eterna. L’amore dell’Agnello vittorioso sul peccato e sulla morte è il vero messaggio innovativo da portare insieme agli smarriti di oggi e a quanti ancora non hanno la gioia di conoscere il volto compassionevole e l’abbraccio misericordioso del Buon Pastore. Il nostro ministero consiste nell’illuminare le tenebre con questa luce gentile, con la forza inerme dell’amore che vince il peccato e supera la morte. Abbiamo la gioia di riconoscere e celebrare insieme il cuore della fede. Ricentriamoci in esso, senza farci distrarre da quanto, invogliandoci a seguire lo spirito del mondo, vorrebbe distoglierci dalla freschezza originaria del Vangelo. Da lì scaturisce la nostra responsabilità comune, l’unica missione di servire il Signore e l’umanità.

È stato anche sottolineato da alcuni autori che i bastoni pastorali, all’altro estremo, hanno spesso una punta. Si può così pensare che il pastorale non ricorda solo la chiamata a condurre e radunare le pecore in nome del Crocifisso Risorto, ma anche a pungolare quelle che tendono a stare troppo vicine e chiuse, esortandole a uscire. La missione dei Pastori è quella di aiutare il gregge loro affidato, perché sia in uscita, in movimento nell’annunciare la gioia del Vangelo; non chiuso in circoli ristretti, in “microclimi” ecclesiali che ci riporterebbero ai giorni di nuvole e caligine. Insieme chiediamo a Dio la grazia di imitare lo spirito e l’esempio dei grandi missionari, attraverso i quali lo Spirito Santo ha rivitalizzato la Chiesa, che si rianima quando esce da sé per vivere e annunciare il Vangelo sulle strade del mondo. Pensiamo a quanto accadde a Edimburgo, alle origini del movimento ecumenico: fu proprio il fuoco della missione a permettere di iniziare a superare gli steccati e abbattere i recinti che ci isolavano e rendevano impensabile un cammino comune. Preghiamo insieme per questo: ci conceda il Signore che da qui sorga un rinnovato slancio di comunione e di missione.

 

Dichiarazione comune

di Sua Santità Papa Francesco

e di Sua Grazia Justin Welby Arcivescovo di Canterbury

 

Cinquant’anni fa i nostri predecessori, Papa Paolo VI e l’Arcivescovo Michael Ramsey, si incontrarono in questa città, resa sacra dal ministero e dal sangue degli Apostoli Pietro e Paolo. In seguito, Papa Giovanni Paolo II e gli Arcivescovi Robert Runcie e George Carey, Papa Benedetto XVI e l’Arcivescovo Rowan Williams hanno pregato insieme in questa Chiesa di San Gregorio al Celio, da dove Papa Gregorio inviò Agostino ad evangelizzare le genti anglosassoni. In pellegrinaggio alle tombe di questi Apostoli e santi Padri, Cattolici e Anglicani si riconoscono eredi del tesoro del Vangelo di Gesù Cristo e della chiamata a condividerlo con il mondo intero. Abbiamo ricevuto la Buona Notizia di Gesù Cristo attraverso le vite sante di uomini e donne, che hanno predicato il Vangelo in parole e in opere, e siamo stati incaricati, e animati dallo Spirito Santo, per essere testimoni di Cristo “fino ai confini della terra” (Atti 1,8). Siamo uniti nella convinzione che “i confini della terra” oggi non rappresentino solo un termine geografico, ma una chiamata a portare il messaggio salvifico del Vangelo in modo particolare a coloro che sono ai margini e alle periferie delle nostre società.

Nel loro storico incontro del 1966, Papa Paolo VI e l’Arcivescovo Ramsey hanno stabilito la Commissione Internazionale anglicana-cattolica al fine di perseguire un serio dialogo teologico che, “fondato sui Vangeli e sulle antiche tradizioni comuni, conduca a quella unità nella Verità per cui Cristo pregò”. Cinquant’anni dopo rendiamo grazie per i risultati della Commissione Internazionale anglicana-cattolica, che ha esaminato dottrine, che hanno creato divisioni lungo la storia, da una nuova prospettiva di mutuo rispetto e carità. Oggi siamo grati in particolare per i documenti dell’ARCIC II, che esamineremo, e attendiamo le conclusioni dell’ARCIC III, che sta cercando di avanzare nelle nuove situazioni e nelle nuove sfide della nostra unità.

Cinquant’anni fa i nostri predecessori hanno riconosciuto i “seri ostacoli” che ostacolavano la via del ristabilimento di una condivisione completa della fede e della vita sacramentale fra di noi. Ciononostante, nella fedeltà alla preghiera del Signore che i suoi discepoli siano una cosa sola, non si sono scoraggiati nell’avviare il cammino, pur senza sapere quali passi si sarebbero potuti intraprendere lungo la via. Grande progresso è stato compiuto in molti ambiti che ci avevano tenuto a distanza. Tuttavia, nuove circostanze hanno apportato nuovi disaccordi tra di noi, particolarmente a riguardo dell’ordinazione delle donne e di più recenti questioni relative alla sessualità umana. Dietro queste divergenze rimane una perenne questione circa il modo di esercizio dell’autorità nella comunità cristiana. Questi sono oggi alcuni aspetti problematici che costituiscono seri ostacoli alla nostra piena unità. Mentre, come i nostri predecessori, anche noi non vediamo ancora soluzioni agli ostacoli dinanzi a noi, non siamo scoraggiati. Con fiducia e gioia nello Spirito Santo confidiamo che il dialogo e il mutuo impegno renderanno più profonda la nostra comprensione e ci aiuteranno a discernere la volontà di Cristo per la sua Chiesa. Siamo fiduciosi nella grazia di Dio e nella Provvidenza, sapendo che lo Spirito Santo aprirà nuove porte e ci guiderà a tutta la verità (cfrGiovanni 16,13).

Le divergenze menzionate non possono impedirci di riconoscerci reciprocamente fratelli e sorelle in Cristo in ragione del nostro comune Battesimo. Nemmeno dovrebbero mai trattenerci dallo scoprire e dal rallegrarci nella profonda fede cristiana e nella santità che rinveniamo nelle tradizioni altrui. Queste divergenze non devono portarci a diminuire i nostri sforzi ecumenici. La preghiera di Cristo durante l’ultima Cena perché tutti siano una sola cosa (cfr Giovanni 17,20-23) è un imperativo per i suoi discepoli oggi, come lo fu allora, nel momento imminente alla sua passione, morte e risurrezione e alla conseguente nascita della sua Chiesa. Nemmeno le nostre divergenze dovrebbero intralciare la nostra preghiera comune: non solo possiamo pregare insieme, ma dobbiamo pregare insieme, dando voce alla fede e alla gioia che condividiamo nel Vangelo di Cristo, nelle antiche Professioni di fede e nella potenza dell’amore di Dio, reso presente dallo Spirito Santo, per superare ogni peccato e divisione. Così, con i nostri predecessori, esortiamo il nostro clero e i fedeli a non trascurare o sottovalutare questa comunione certa, sebbene imperfetta, che già condividiamo.

Più ampie e profonde delle nostre divergenze sono la fede che condividiamo e la nostra gioia comune nel Vangelo. Cristo ha pregato affinché i suoi discepoli possano essere tutti una cosa sola, “perché il mondo creda” (Giovanni 17,21). Il vivo desiderio di unità che noi esprimiamo in questa Dichiarazione Comune è strettamente legato al condiviso desiderio che uomini e donne giungano a credere che Dio ha mandato il suo Figlio, Gesù, nel mondo, per salvarlo dal male che opprime e indebolisce l’intera creazione. Gesù ha dato la sua vita per amore e risorgendo dai morti ha vinto persino la morte. I Cristiani, che hanno abbracciato questa fede, hanno incontrato Gesù e la vittoria del suo amore nelle loro stesse vite, e sono sospinti a condividere con gli altri la gioia di questa Buona Notizia. La nostra capacità di riunirci nella lode e nella preghiera a Dio e di testimoniare al mondo poggia sulla fiducia che condividiamo una fede comune e in misura sostanziale un accordo nella fede.

Il mondo deve vederci testimoniare, nel nostro operare insieme, questa fede comune in Gesù. Possiamo e dobbiamo lavorare insieme per proteggere e preservare la nostra casa comune: vivendo, istruendo e agendo in modo da favorire una rapida fine della distruzione ambientale, che offende il Creatore e degrada le sue creature, e generando modelli di comportamento individuali e sociali che promuovano uno sviluppo sostenibile e integrale per il bene di tutti. Possiamo, e dobbiamo, essere uniti nella causa comune di sostenere e difendere la dignità di tutti gli uomini. La persona umana è declassata dal peccato personale e sociale. In una cultura dell’indifferenza, muri di estraneazione ci isolano dagli altri, dalle loro lotte e dalle loro sofferenze, che anche molti nostri fratelli e sorelle in Cristo oggi patiscono. In una cultura dello spreco, le vite dei più vulnerabili nella società sono spesso marginalizzate e scartate. In una cultura dell’odio, assistiamo a indicibili atti di violenza, spesso giustificati da una comprensione distorta del credo religioso. La nostra fede cristiana ci porta a riconoscere l’inestimabile valore di ogni vita umana e ad onorarla attraverso opere di misericordia, offrendo istruzione, cure sanitarie, cibo, acqua pulita e rifugio, sempre cercando di risolvere i conflitti e di costruire la pace. In quanto discepoli di Cristo riteniamo la persona umana sacra e in quanto apostoli di Cristo dobbiamo essere i suoi avvocati.

Cinquant’anni fa Papa Paolo VI e l’Arcivescovo Ramsey si sono ispirati alle parole dell’Apostolo: “dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Filippesi 3,13-14). Oggi, “ciò che sta alle spalle” – dolorosi secoli di separazione – è stato parzialmente risanato da cinquant’anni di amicizia. Rendiamo grazie per i cinquant’anni del Centro Anglicano a Roma, destinato ad essere un luogo di incontro e di amicizia. Siamo diventati amici e compagni di viaggio nel peregrinare, affrontando le stesse difficoltà e rafforzandoci reciprocamente, imparando ad apprezzare i doni che Dio ha dato all’altro e a riceverli come propri, con umiltà e gratitudine.

Siamo impazienti di progredire per poter essere pienamente uniti nel proclamare a tutti, nelle parole e nei fatti, il Vangelo salvifico e risanante di Cristo. Perciò riceviamo grande incoraggiamento dall’incontro di questi giorni tra così tanti Pastori cattolici e anglicani della Commissione internazionale anglicana-cattolica per l’unità e la missione (IARCCUM), i quali, sulla base di quanto vi è in comune e che generazioni di studiosi dell’ARCIC hanno accuratamente portato alla luce, sono vivamente desiderosi di proseguire nella missione di collaborare e nella testimonianza fino ai “confini della terra”. Oggi ci rallegriamo nell’incaricarli e nel mandarli avanti a due a due, come il Signore inviò i settantadue discepoli. La loro missione ecumenica verso coloro che si trovano ai margini della società sia una testimonianza per tutti noi, e da questo luogo sacro, come la Buona Notizia tanti secoli fa, esca il messaggio che Cattolici e Anglicani opereranno insieme per dar voce alla fede comune nel Signore Gesù Cristo, per portar sollievo nella sofferenza, pace dove c’è conflitto, dignità dov’è negata e calpestata.

In questa Chiesa di San Gregorio Magno, invochiamo ardentemente la benedizione della Santissima Trinità sul prosieguo dell’opera dell’ARCIC e dello IARCCUM, e su tutti coloro che pregano e contribuiscono al ristabilimento dell’unità tra di noi.

Roma, 5 ottobre 2016

 

Sua Grazia Justin Welby                                                  Sua Santità Francesco

 

   

 

 Udienza del Santo Padre Francesco ai partecipanti al primo Incontro mondiale “Sport e Fede”

 

Aula Paolo VI, mercoledì 5 Ottobre 2016

 

%_tempFileName01331_05102016%

 

Si è aperto mercoledì 5 Ottobre alle ore 16 nell’Aula Paolo VI in Vaticano il primo Incontro mondiale su Sport e Fede, dal tema Sport at the Service of Humanity. L’incontro è promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura. Le Nazioni Unite e il Comitato Olimpico Internazionale sono special supporter dell’evento.

La cerimonia di apertura è stata presieduta da Papa Francesco, con il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, e con il Presidente del Comitato Olimpico Internazionale Thomas Bach, presenti come ospiti d’eccezione.

Di seguito, riportiamo il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:

 

Cari fratelli e sorelle,

sono lieto di accogliere voi, esponenti del mondo dello sport, unitamente alle Autorità e ai delegati di altre comunità religiose, che siete venuti in Vaticano per manifestare, come suggerisce il titolo della Conferenza internazionale, il prezioso servizio che lo sport rende all’umanità. Vi saluto tutti con riconoscenza. In particolare, saluto il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura; il Segretario Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, Signor Ban Ki-moon; il Presidente del Comitato Olimpico Internazionale, Signor Thomas Bach.

Lo sport è un’attività umana di grande valore, capace di arricchire la vita delle persone, di cui possono fruire e gioire uomini e donne di ogni nazione, etnia e appartenenza religiosa. Proprio in questi ultimi mesi, abbiamo visto come i Giochi Olimpici e Paralimpici sono stati al centro dell’attenzione del mondo intero. Il motto olimpico “altius, citius, fortius” è un invito a sviluppare i talenti che Dio ci ha dato. Quando vediamo gli atleti tendere al massimo delle proprie capacità, lo sport ci entusiasma, ci meraviglia, ci fa sentire quasi orgogliosi. C’è una grande bellezza nell’armonia di certi movimenti, come pure nella forza o nel gioco di squadra. Quando è così, lo sport trascende il livello della pura fisicità e ci porta nell’arena dello spirito e addirittura del mistero. E questi momenti sono accompagnati da grande gioia e soddisfazione, che tutti possiamo condividere, pur non avendo gareggiato.

Un’altra caratteristica importante dello sport è che non è riservato agli atleti di grandi prestazioni. C’è anche uno sport dilettantistico, amatoriale, ricreativo, non finalizzato alla competizione, ma che consente a tutti di migliorare la salute e il benessere, di imparare a lavorare in squadra, a saper vincere e anche a saper perdere. Per questo è importante che tutti possano partecipare alle attività sportive, e sono contento che al centro della vostra attenzione in questi giorni ci sia l’impegno per assicurare che lo sport diventi sempre più inclusivo e che i suoi benefici siano veramente accessibili a tutti.

Le nostre tradizioni religiose condividono l’impegno per assicurare il rispetto della dignità di ogni essere umano. Perciò è bello sapere che le istituzioni sportive mondiali hanno preso a cuore così coraggiosamente il valore dell’inclusione. Il movimento paralimpico e altre associazioni sportive a sostegno delle persone con disabilità, come Special Olympics, hanno avuto un ruolo decisivo nell’aiutare il pubblico a riconoscere e ammirare le straordinarie prestazioni di atleti con diverse abilità e capacità. Questi eventi ci regalano esperienze in cui risaltano in modo mirabile la grandezza e la purezza del gesto sportivo.

Ma in questo momento penso anche a tanti bambini e ragazzi che vivono ai margini della società. Tutti conosciamo l’entusiasmo dei bambini che giocano con una palla sgonfia o fatta di stracci nei sobborghi di alcune grandi città o nelle vie dei piccoli paesi. Vorrei incoraggiare tutti – istituzioni, società sportive, realtà educative e sociali, comunità religiose – a lavorare insieme affinché questi bambini possano accedere allo sport in condizioni dignitose, specialmente quelli che ne sono esclusi a causa della povertà. Mi fa piacere sapere che sono presenti al convegno i fondatori dellaHomeless Cup e altre fondazioni che, attraverso lo sport, offrono ai più svantaggiati una possibilità di sviluppo umano integrale.

Desidero segnalare anche un compito e una sfida per voi, rappresentanti dello sport e delle aziende che sponsorizzano gli eventi sportivi. La sfida è quella di mantenere la genuinità dello sport, di proteggerlo dalle manipolazioni e dallo sfruttamento commerciale. Sarebbe triste, per lo sport e per l’umanità, se la gente non riuscisse più a confidare nella verità dei risultati sportivi, o se il cinismo e il disincanto prendessero il sopravvento sull’entusiasmo e sulla partecipazione gioiosa e disinteressata. Nello sport, come nella vita, è importante lottare per il risultato, ma giocare bene, e con lealtà è ancora più importante! Non dimenticatevi, tutti non dobbiamo dimenticare, quella bella parola che si dice del vero sport: sport amateur.

Ringrazio, pertanto, tutti voi, per i vostri sforzi nello sradicare ogni forma di corruzione e di manipolazione. So che è in atto una campagna guidata dalle Nazioni Unite per lottare contro il cancro della corruzione in tutti gli ambiti della società. Quando le persone lottano per creare una società più giusta e trasparente, collaborano con l’opera di Dio. Anche noi, responsabili di diverse comunità religiose, vogliamo offrire il nostro contributo a tale impegno. Per quanto riguarda la Chiesa Cattolica, essa è impegnata nel mondo dello sport per portare la gioia del Vangelo, l’amore inclusivo e incondizionato di Dio per tutti gli esseri umani.

Vi auguro che queste giornate di incontro e di riflessione vi consentano di meglio esplorare il bene che lo sport e la fede possono portare alle nostre società. Affido a Dio ogni vostra opera, ogni attesa e speranza, e di cuore invoco su ciascuno di voi la sua benedizione; e vi chiedo, per favore di pregare per me. Grazie.

 

  

 

 La catechesi del Santo Padre Francesco all’Udienza Generale 

 

Piazza San Pietro, mercoledì 5 Ottobre 2016

 

%_tempFileName308509_05102016%

 

 

 

L’Udienza Generale di mercoledì 5 Ottobre si è svolta alle ore 10 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana il Papa ha incentrato la sua meditazione sul Suo recente Viaggio in Georgia e Azerbaijan.

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.

L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nello scorso fine settimana ho compiuto il viaggio apostolico in Georgia e Azerbaigian. Rendo grazie al Signore che me lo ha concesso e rinnovo l’espressione della mia riconoscenza alle Autorità civili e religiose di questi due Paesi, in particolare al Patriarca di tutta la Georgia Ilia II - la sua testimonianza mi ha fatto tanto bene al cuore e all’anima - e allo Sceicco dei Musulmani del Caucaso. Un grazie fraterno ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e a tutti i fedeli che mi hanno fatto sentire il loro caloroso affetto.

Questo viaggio è stato il proseguimento e il completamento di quello effettuato in Armenia, nel mese di giugno. In tal modo ho potuto – grazie a Dio – realizzare il progetto di visitare tutti e tre questi Paesi caucasici, per confermare la Chiesa Cattolica che vive in essi e per incoraggiare il cammino di quelle popolazioni verso la pace e la fraternità. Lo evidenziavano anche i due motti di quest’ultimo viaggio: per la Georgia “Pax vobis” e per l’Azerbaigian “Siamo tutti fratelli”.

Entrambi questi Paesi hanno radici storiche, culturali e religiose molto antiche, ma nello stesso tempo stanno vivendo una fase nuova: infatti, tutt’e due celebrano quest’anno il 25° della loro indipendenza, essendo stati per buona parte del secolo XX sotto il regime sovietico. E in questa fase essi incontrano parecchie difficoltà nei diversi ambiti della vita sociale. La Chiesa Cattolica è chiamata ad essere presente, ad essere vicina, specialmente nel segno della carità e della promozione umana; ed essa cerca di farlo in comunione con le altre Chiese e Comunità cristiane e in dialogo con le altre comunità religiose, nella certezza che Dio è Padre di tutti e noi siamo fratelli e sorelle.

In Georgia questa missione passa naturalmente attraverso la collaborazione con i fratelli ortodossi, che formano la grande maggioranza della popolazione. Perciò è stato un segno molto importante il fatto che quando sono arrivato a Tbilisi ho trovato a ricevermi all’Aeroporto, insieme con il Presidente della Repubblica, anche il venerato Patriarca Ilia II. L’incontro con lui quel pomeriggio è stato commovente, come pure lo è stata all’indomani la visita alla Cattedrale Patriarcale, dove si venera la reliquia della tunica di Cristo, simbolo dell’unità della Chiesa. Questa unità è corroborata dal sangue di tanti martiri delle diverse confessioni cristiane. Tra le comunità più provate c’è quella Assiro-Caldea, con la quale ho vissuto a Tbilisi un intenso momento di preghiera per la pace in Siria, in Iraq e in tutto il Medio Oriente.

La Messa con i fedeli cattolici della Georgia – latini, armeni e assiro-caldei – è stata celebrata nella memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni: lei ci ricorda che la vera missione non è mai proselitismo, ma attrazione a Cristo a partire dalla forte unione con Lui nella preghiera, nell’adorazione e nella carità concreta, che è servizio a Gesù presente nel più piccolo dei fratelli. E’ quello che fanno i religiosi e le religiose che ho incontrato a Tbilisi, come poi anche a Baku: lo fanno con la preghiera e con le opere caritative e promozionali. Li ho incoraggiati ad essere saldi nella fede, con memoria, coraggio e speranza. E poi ci sono le famiglie cristiane: quant’è preziosa la loro presenza di accoglienza, accompagnamento, discernimento e integrazione nella comunità!

Questo stile di presenza evangelica come seme del Regno di Dio è, se possibile, ancora più necessario in Azerbaigian, dove la maggioranza della popolazione è musulmana e i cattolici sono poche centinaia, ma grazie a Dio hanno buoni rapporti con tutti, in particolare mantengono vincoli fraterni con i cristiani ortodossi. Per questo a Baku, capitale dell’Azerbaigian, abbiamo vissuto due momenti che la fede sa tenere nel giusto rapporto: l’Eucaristia e l’incontro interreligioso. L’Eucaristia con la piccola comunità cattolica, dove lo Spirito armonizza le diverse lingue e dona la forza della testimonianza; e questa comunione in Cristo non impedisce, anzi, spinge a cercare l’incontro e il dialogo con tutti coloro che credono in Dio, per costruire insieme un mondo più giusto e fraterno. In tale prospettiva, rivolgendomi alle Autorità azere, ho auspicato che le questioni aperte possano trovare buone soluzioni e tutte le popolazioni caucasiche vivano nella pace e nel rispetto reciproco.

Dio benedica l’Armenia, la Georgia e l’Azerbaigian, e accompagni il cammino del Suo Popolo santo pellegrino in quei Paesi.

 

Saluti in francese:

Sono lieto di accogliere i pellegrini di lingua francese, venuti da Francia, Belgio e Svizzera. Saluto in particolare i sacerdoti di Nevers, con il loro Vescovo Mons. Brac de la Perrière, i pellegrini di Rodez, con Mons. Fonlupt, i «Marciatori della speranza» di Avignone e Marsiglia, come pure i preti di Malines-Bruxelles e i fedeli delle Diocesi de Tournai e di Liège. Vi affido all’intercessione di San Francesco d’Assisi e di Santa Teresa di Lisieux, per camminare coraggiosamente sulle strade della santità, alla ricerca di un’autentica fraternità tra di noi. Dio vi benedica!

Saluti in inglese:

Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra, Scozia, Irlanda, Norvegia, Australia, Cina, Indonesia, Malaysia, Filippine e Stati Uniti d’America. Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la misericordia e la pace del Signore, pregando che condividiate questi doni con tutti quelli che incontrerete. Dio vi benedica!

Saluti in tedesco:

Un caloroso benvenuto ai fratelli e alle sorelle di lingua tedesca. Saluto i pellegrini della Diocesi di Magonza e i fedeli della parrocchia di S. Giovanni Battista in Garrel, accompagnati da Mons. Timmerevers. Un particolare saluto porgo ai giovani che partecipano alla settimana di informazione della Guardia Svizzera Pontificia, nonché alle numerose scolaresche, soprattutto agli allievi del Liceo Anne Frank di Werne. Il Signore vi confermi nella vita cristiana e vi benedica sempre.

Saluti in portoghese:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua portoghese, in particolare ai fedeli di Angola, Brasile e Portogallo. Cari amici, grazie per la vostra presenza e soprattutto per le vostre preghiere! Chiediamo allo Spirito Santo, artefice dell’unità nella Chiesa e fra gli uomini, che ci aiuti a cercare sempre il dialogo con tutte le persone di buona volontà, affinché possiamo costruire un mondo di pace e solidarietà. Dio benedica voi e quanti vi sono cari.

Saluti in arabo:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente! Cari fratelli e sorelle, ricordatevi sempre che il nostro annuncio e la nostra testimonianza saranno tanto più credibili quanto più noi per primi saremo capaci di vivere in comunione e di volerci bene. Il Signore vi benedica!

Saluti in polacco:

Saluto cordialmente tutti i Polacchi qui presenti e in modo particolare gli ex prigionieri del Campo di Concentramento d’Auschwitz. Celebriamo oggi la memoria di Santa Faustina Kowalska. Lei ha ricordato al mondo che Dio è ricco di misericordia e che il Suo amore è più potente della morte, del peccato e di ogni male. Questo messaggio di Gesù Misericordioso, affidato a lei, fruttifichi nella vostra vita con l’approfondimento dell’unione con Dio e con le opere di misericordia. Affidando al Signore noi stessi e i difficili problemi del mondo, ripetiamo frequentemente: “Gesù, confido in te!”. Sia lodato Gesù Cristo!


Saluti in italiano:

 

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Accolgo con gioia i fedeli delle Diocesi di Aosta e Ventimiglia-San Remo, accompagnati dai Vescovi Mons. Franco Lovignana e Mons. Antonio Suetta, come pure i pellegrini ambrosiani con Mons. Mario Delpini. Auspico che il pellegrinaggio giubilare rinsaldi ciascuno nell’adesione al Cristo per un crescente impegno ecclesiale a vantaggio delle comunità diocesane e parrocchiali!

Saluto e incoraggio i sacerdoti del Pontificio Collegio Missionario San Paolo giunti a Roma per approfondire gli studi teologici. Saluto il Gruppo Gloria Crucis dell’Università Lateranense, i fedeli di Grottammare e quelli di Vigevano, e li esorto a vivere con fede il Giubileo Straordinario, testimoniando le opere di misericordia corporali e spirituali.

Saluto l’Istituto Italiano della Donazione; l’associazione “Vivere da Sportivi”; la Federazione Sport Cinofili e gli studenti delle scuole Oasi Madre Serafina di Roma e delle Suore Francescane di Civita Castellana.

Un pensiero infine per i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Il mese di ottobre è il mese missionario, in cui siamo invitati a pregare intensamente la Vergine Maria, Regina delle Missioni: cari giovani, siate missionari del Vangelo nei vostri ambienti con la misericordia e la tenerezza di Gesù; cari ammalati, offrite la vostra sofferenza per la conversione dei lontani e degli indifferenti; e voi, cari sposi novelli, siate missionari nella vostra famiglia annunciando con la Parola e l’esempio il Vangelo della salvezza!

 

 

  

 

Udienza del Santo Padre Francesco

ai dirigenti della «Fondazione Vodafone»

 

Auletta dell'Aula Paolo VI, mercoledì 5 Ottobre 2016

 

%_tempFileName00176_05102016%

 

Questa mattina, alle ore 9.00, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza, presso l’Auletta dell’Aula Paolo VI, i dirigenti della “Fondazione Vodafone”. Dopo la presentazione dell’iniziativa denominata “Instant Schools for Africa”, da parte dell’Amministratore Delegato del Gruppo Vodafone, il Papa ha rivolto ai presenti il seguente discorso:

 

Rivolgo il mio benvenuto a tutti voi e ringrazio l’Amministratore Delegato del Gruppo Vodafone per la sua presentazione di questa interessante iniziativa chiamata “Instant Schools for Africa”. Essa si propone, come abbiamo sentito, di consentire a numerosi giovani africani, di cui una parte ospitati in campi-profughi, di accedere on line a importanti risorse educative.

Questo progetto si inserisce nell’orizzonte ampio e variegato di interventi pubblici e privati orientati a promuovere un mondo più inclusivo, più solidale, più capace di offrire opportunità di sviluppo a persone e gruppi sociali a rischio di esclusione.

Esprimo il mio apprezzamento per tale iniziativa e mi permetto di suggerire che, nell’attuarla, si abbia cura di fornire ai giovani anche qualche nozione di metodo, affinché imparino non solo ad usare gli strumenti, ma a usarli come strumenti, diventando capaci di avvalersene in modo libero e critico.

E infine un desiderio: che, tra le risorse offerte ai giovani, ci possa essere l’accesso informatico ai testi sacri delle varie religioni, in diverse lingue. Questo sarebbe un bel segno di attenzione alla dimensione religiosa, così radicata nei popoli africani, e di incoraggiamento al dialogo interreligioso.

Grazie ancora per la vostra cortesia e tanti auguri per questo progetto, che per quello che ho sentito mi piace tanto, è costruttivo. E oggi bisogna essere costruttivi, fare cose che portino l’umanità avanti e non soltanto vedere come cadono le bombe sopra persone innocenti, bambini, ammalati, città intere. Costruire, non distruggere! Grazie.

 

 

 

Visita del Santo Padre Francesco alle popolazioni dell’Italia Centrale colpite dal terremoto del 24 agosto scorso

 

Martedì 4 Ottobre 2016

 

 

 

 

La mattina di martedì 4 Ottobre 2016, poco dopo le ore 9.00, Papa Francesco ha raggiunto, a sorpresa, la città di Amatrice per incontrare la popolazione colpita dal terremoto dello scorso 24 agosto. Accompagnato dal vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, il Santo Padre si è recato, in primo luogo, presso la scuola “Romolo Capranica” – allestita dai membri della Protezione Civile in un container – in cui ha salutato alcuni maestri, e i bambini della scuola primaria, che gli hanno fatto dono di alcuni disegni realizzati dopo il terremoto.

All’uscita dalla scuola, attorniato dalla folla, il Papa ha detto: “Ho pensato bene nei primi giorni di questi tanti dolori che la mia visita, forse, era più un ingombro che un aiuto, e non volevo dare fastidio. Per questo ho lasciato passare un po’ di tempo affinché si sistemassero alcune cose, come la scuola. Ma dal primo momento ho sentito che dovevo venire da voi! Semplicemente per dire che vi sono vicino, che vi sono vicino, niente di più, e che prego, prego per voi! Vicinanza e preghiera, questa è la mia offerta a voi. Che il Signore benedica tutti voi, che la Madonna vi custodisca in questo momento di tristezza e dolore e di prova”.

Dopo aver benedetto i presenti, il Santo Padre ha pregato, insieme a loro, l’Ave Maria, ed ha aggiunto: “Andiamo avanti, sempre c’è un futuro. Ci sono tanti cari che ci hanno lasciato, che sono caduti qui, sotto le macerie. Preghiamo la Madonna per loro, lo facciamo tutti insieme. [Ave Maria…] Guardare sempre avanti. Avanti, coraggio, e aiutarsi gli uni gli altri. Si cammina meglio insieme, da soli non si va. Avanti! Grazie”.

Dopo aver salutato il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, le forze dell’ordine e i vigili del fuoco, il Santo Padre si è incamminato verso la così detta “zona rossa”, dove il sisma è stato più devastante, avvicinandosi il più possibile agli edifici in rovina, ed ha pregato in silenzio. Quindi, ha salutato il responsabile della Comunicazione di emergenza del Corpo dei Vigili del Fuoco con queste parole: “Prego perché voi non dobbiate lavorare, il vostro è un lavoro doloroso. Vi ringrazio per quello che fate”. Poi il Papa ha chiesto di fare una foto con tutti i vigili presenti perché, ha sottolineato, “sono quelli che salvano la gente”.

Quindi, il Pontefice ha proseguito la sua visita recandosi a visitare la Residenza Sanitaria Assistenziale San Raffaele Borbona in provincia di Rieti, che accoglie ammalati cronici e non autosufficienti. Qui, Papa Francesco ha salutato 60 pazienti, tra cui molti anziani sfollati a causa del terremoto e si è trattenuto a pranzo con loro.

Due ore dopo, il Santo Padre si è recato presso il Comando dei Vigili del Fuoco a Cittareale – campo base per le zone terremotate – da dove, poi, si è spostato ad Accumoli, una delle città più colpite; qui ha salutato diverse persone, incluso il sindaco Stefano Petrucci, in Piazza San Francesco e ha pregato davanti alla chiesa di San Francesco distrutta dal terremoto.

Da Accumoli il Papa si è spostato a Pescara del Tronto, nelle Marche, dove ha compito tre soste lungo la strada per salutare piccoli gruppi di persone.

Poco prima delle 14 il Santo Padre è arrivato ad Arquata del Tronto, dove ha salutato più di 100 persone, rivolgendo loro alcune parole e pregando con loro l’Ave Maria, visitando anche la scuola allestita nella tendopoli. Papa Francesco così si è rivolto ai presenti: “Buon pomeriggio a tutti voi. Io ho voluto esservi vicino in questo momento e dire a voi che vi porto nel cuore e so, so della vostra sofferenza e delle vostre angosce e so anche dei vostri morti e sono con voi e per questo ho voluto oggi essere qui. Adesso preghiamo il Signore perché vi benedica e preghiamo anche per i vostri cari che sono rimasti lì… e sono andati in cielo. E coraggio, sempre avanti, sempre avanti. I tempi cambieranno e si potrà andare avanti. Io vi sono vicino, sono con voi.”

Nella visita a Pescara del Tronto e ad Arquata del Tronto, il Papa è stato accompagnato da mons. Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno.

Nel pomeriggio il Santo Padre ha raggiunto l’ultima tappa della Sua visita alle zone terremotate: San Pellegrino di Norcia, in Umbria, accompagnato dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo.

Il Papa ha pregato nella zona rossa davanti alla chiesa di S. Pellegrino, fortemente danneggiata. Poi ha saluto le persone che lo attendevano fuori e - usando il microfono della Polizia - ha rivolto loro queste parole: “Saluto tutti voi. Sono stato vicino a voi e mi sento molto vicino in questo momento di tristezza e prego per voi e chiedo al Signore che dia la forza di andare avanti. E adesso vi invito a pregare tutti insieme l’Ave Maria.”

Alle 15.30 Papa Francesco è ripartito per Roma, e alle ore 17.40 ha fatto rientro in Vaticano. L’intero tragitto della visita è stato compiuto dal Santo Padre in automobile.

Come si ricorderà, già domenica scorsa, durante la conferenza stampa nel volo Baku-Roma, il Papa Francesco aveva detto che questa visita l’avrebbe fatta “privatamente, da solo, come sacerdote, come vescovo, come Papa. Ma da solo. Così voglio farla. E vorrei essere vicino alla gente”.

Anche nell’Angelus del 28 agosto scorso, il Santo Padre aveva espresso la sua “vicinanza spirituale agli abitanti del Lazio, delle Marche e dell’Umbria, duramente colpiti dal terremoto di questi giorni. “Penso in particolare alla gente di Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto, Norcia. Ancora una volta dico a quelle care popolazioni che la Chiesa condivide la loro sofferenza e le loro preoccupazioni. Preghiamo per i defunti e per i superstiti. […] Cari fratelli e sorelle, appena possibile anch’io spero di venire a trovarvi, per portarvi di persona il conforto della fede, l’abbraccio di padre e fratello e il sostegno della speranza cristiana”. 

  

  

 

 

 La catechesi del Santo Padre Francesco all’Udienza Generale 

 

Piazza San Pietro, mercoledì 28 Settembre 2016

 

%_tempFileName297767_28092016%

 

L’Udienza Generale di mercoledì 28 Settembre, si è svolta alle ore 9.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando la catechesi sulla misericordia, ha incentrato la sua meditazione sul tema: “Il Perdono sulla croce” (cfr Lc 23,39-43).

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto un appello per la drammatica situazione di Aleppo in Siria.

L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Le parole che Gesù pronuncia durante la sua Passione trovano il loro culmine nel perdono. Gesùperdona: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Non sono soltanto parole, perché diventano un atto concreto nel perdono offerto al “buon ladrone”, che era accanto a Lui. San Luca racconta di due malfattori crocifissi con Gesù, i quali si rivolgono a Lui con atteggiamenti opposti.

Il primo lo insulta, come lo insultava tutta la gente, come fanno i capi del popolo, ma questo povero uomo, spinto dalla disperazione dice: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!» (Lc 23,39). Questo grido testimonia l’angoscia dell’uomo di fronte al mistero della morte e la tragica consapevolezza che solo Dio può essere la risposta liberatrice: perciò è impensabile che il Messia, l’inviato di Dio, possa stare sulla croce senza far nulla per salvarsi. E non capivano, questo. Non capivano il mistero del sacrificio di Gesù. E invece Gesù ci ha salvati rimanendo sulla croce. Tutti noi sappiamo che non è facile “rimanere sulla croce”, sulle nostre piccole croci di ogni giorno. Lui, in questa grande croce, in questa grande sofferenza, è rimasto così e lì ci ha salvati; lì ci ha mostrato la sua onnipotenza e lì ci ha perdonati. Lì si compie la sua donazione d’amore e scaturisce per sempre la nostra salvezza. Morendo in croce, innocente tra due criminali, Egli attesta che la salvezza di Dio può raggiungere qualunque uomo in qualunque condizione, anche la più negativa e dolorosa. La salvezza di Dio è per tutti, nessuno escluso. E’ offerta a tutti. Per questo il Giubileo è tempo di grazia e di misericordia per tutti, buoni e cattivi, quelli che sono in salute e quelli che soffrono. Ricordatevi quella parabola che racconta Gesù sulla festa dello sposalizio di un figlio di un potente della terra: quando gli invitati non hanno voluto andare, dice ai suoi servitori: «Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze» (Mt 22,9). Tutti siamo chiamati: buoni e cattivi. La Chiesa non è soltanto per i buoni o per quelli che sembrano buoni o si credono buoni; la Chiesa è per tutti, e anche preferibilmente per i cattivi, perché la Chiesa è misericordia. E questo tempo di grazia e di misericordia ci fa ricordare che nulla ci può separare dall’amore di Cristo! (cfr Rm 8,39). A chi è inchiodato su un letto di ospedale, a chi vive chiuso in una prigione, a quanti sono intrappolati dalle guerre, io dico: guardate il Crocifisso; Dio è con voi, rimane con voi sulla croce e a tutti si offre come Salvatore a tutti noi. A voi che soffrite tanto dico, Gesù è crocifisso per voi, per noi, per tutti. Lasciate che la forza del Vangelo penetri nel vostro cuore e vi consoli, vi dia speranza e l’intima certezza che nessuno è escluso dal suo perdono. Ma voi potete domandarmi: “Ma mi dica, Padre, quello che ha fatto le cose più brutte nella vita, ha possibilità di essere perdonato?” – “Sì! Sì: nessuno è escluso dal perdono di Dio. Soltanto deve avvicinarsi pentito a Gesù e con la voglia di essere da Lui abbracciato”.

Questo era il primo malfattore. L’altro è il cosiddetto “buon ladrone”. Le sue parole sono un meraviglioso modello di pentimento, una catechesi concentrata per imparare a chiedere perdono a Gesù. Prima, egli si rivolge al suo compagno: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?» (Lc 23,40). Così pone in risalto il punto di partenza del pentimento: il timore di Dio. Ma non la paura di Dio, no: il timore filiale di Dio. Non è la paura, ma quel rispetto che si deve a Dio perché Lui è Dio. E’ un rispetto filiale perché Lui è Padre. Il buon ladrone richiama l’atteggiamento fondamentale che apre alla fiducia in Dio: la consapevolezza della sua onnipotenza e della sua infinita bontà. E’ questo rispetto fiducioso che aiuta a fare spazio a Dio e ad affidarsi alla sua misericordia.

Poi, il buon ladrone dichiara l’innocenza di Gesù e confessa apertamente la propria colpa: «Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male» (Lc 23,41). Dunque Gesù è lì sulla croce per stare con i colpevoli: attraverso questa vicinanza, Egli offre loro la salvezza. Ciò che è scandalo per i capi e per il primo ladrone, per quelli che erano lì e si facevano beffa di Gesù, questo invece è fondamento della sua fede. E così il buon ladrone diventa testimone della Grazia; l’impensabile è accaduto: Dio mi ha amato a tal punto che è morto sulla croce per me. La fede stessa di quest’uomo è frutto della grazia di Cristo: i suoi occhi contemplano nel Crocifisso l’amore di Dio per lui, povero peccatore. È vero, era ladrone, era un ladro, aveva rubato tutta la vita. Ma alla fine, pentito di quello che aveva fatto, guardando Gesù così buono e misericordioso è riuscito a rubarsi il cielo: è un bravo ladro, questo!

Il buon ladrone si rivolge infine direttamente a Gesù, invocando il suo aiuto: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42). Lo chiama per nome, “Gesù”, con confidenza, e così confessa ciò che quel nome indica: “il Signore salva”: questo significa il nome “Gesù”. Quell’uomo chiede a Gesù di ricordarsi di lui. Quanta tenerezza in questa espressione, quanta umanità! E’ il bisogno dell’essere umano di non essere abbandonato, che Dio gli sia sempre vicino. In questo modo un condannato a morte diventa modello del cristiano che si affida a Gesù. Un condannato a morte è un modello per noi, un modello per un uomo, per un cristiano che si affida a Gesù; e anche modello della Chiesa che nella liturgia tante volte invoca il Signore dicendo: “Ricordati... Ricordati del tuo amore …”.

Mentre il buon ladrone parla al futuro: «quando entrerai nel tuo regno», la risposta di Gesù non si fa aspettare; parla al presente: «oggi sarai con me nel paradiso» (v. 43). Nell’ora della croce, la salvezza di Cristo raggiunge il suo culmine; e la sua promessa al buon ladrone rivela il compimento della sua missione: cioè salvare i peccatori. All’inizio del suo ministero, nella sinagoga di Nazaret, Gesù aveva proclamato «la liberazione ai prigionieri» (Lc 4,18); a Gerico, nella casa del pubblico peccatore Zaccheo, aveva dichiarato che «il Figlio dell’uomo – cioè Lui – è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,9). Sulla croce, l’ultimo atto conferma il realizzarsi di questo disegno salvifico. Dall’inizio alla fine Egli si è rivelato Misericordia, si è rivelato incarnazione definitiva e irripetibile dell’amore del Padre. Gesù è davvero il volto della misericordia del Padre. E il buon ladrone lo ha chiamato per nome: “Gesù”. È una invocazione breve, e tutti noi possiamo farla durante la giornata tante volte: “Gesù”. “Gesù”, semplicemente. E così fatela durante tutta la giornata.

 

Saluti in francese:

Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare il pellegrinaggio della Diocesi di Belfort-Montbéliard, con Mons. Dominique Blanchet, la delegazione di parlamentari dell’Assemblea Nazionale francese, il Seminario Francese di Roma, il pellegrinaggio interdiocesano d’Algeria, come pure i pellegrini venuti da Svizzera e Austria. In questo Anno Giubilare della Misericordia vi invito ad avvicinarvi al Signore Gesù morto sulla croce per ciascuno di noi. Chiediamogli perdono per i nostri sbagli e la forza di ripartire abitati da una vita nuova. Dio vi benedica!


Saluti in inglese:

Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra, Scozia, Irlanda, Danimarca, Norvegia, Svizzera, Brunei, India, Indonesia, Malaysia, Corea del Sud, Giappone, Vietnam, Sud Africa, Australia, Canada e Stati Uniti d’America. Un particolare benvenuto anche ai seminaristi del Pontificio Collegio Americano del Nord e le loro famiglie, qui convenuti in occasione dell’ordinazione diaconale che sarà celebrata domani. Dio vi benedica tutti!

Saluti in tedesco:

Un cordiale benvenuto a tutti i pellegrini di lingua tedesca, soprattutto ai numerosi giovani. In particolare saluto i seminaristi delle Diocesi di Graz-Seckau e di Gurk-Klagenfurt e le studentesse della Mädchen-Realschule Maria-Ward di Monaco. Cari amici, guardando a Gesù riscopriamo sempre più la bellezza della misericordia del Signore! Dio vi benedica tutti.

Saluti in portoghese:

Carissimi pellegrini di lingua portoghese, vi saluto cordialmente tutti, in particolare i membri della «Comunità cattolica di lingua portoghese in Germania», e vi auguro che, in quest’Anno Santo, possiate fare esperienza della misericordia di Dio per essere testimoni di ciò che a Lui piace di più: perdonare i suoi figli e le sue figlie. Pregate anche per me! Dio vi benedica.

Saluti in arabo:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a ‎quelli provenienti dall’Egitto e dal Medio Oriente. “In verità ti dico, oggi ‎sarai con me nel paradiso” è la gioiosa proclamazione che Gesù rivolge a ‎ogni persona che non si vergogna della Croce di Cristo; a ogni penitente ‎che vede nel crocifisso il vero volto della misericordia di Dio; a ogni uomo ‎capace di gridare con tutto il cuore, nonostante la sua miseria e i suoi ‎peccati: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Il Signore vi ‎benedica tutti e vi protegga dal ‎maligno!

Saluti in polacco:

Saluto cordialmente i polacchi qui presenti. Nella liturgia di domani celebreremo la festa degli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. Essi “sono spiriti incaricati di un ministero, inviati a servire coloro che erediteranno la salvezza” (Eb 1,14). Dobbiamo avere la consapevolezza della loro invisibile presenza. Invochiamoli nella preghiera affinché in ogni momento ci ricordino la presenza di Dio, ci appoggino nella lotta contro il male e ci conducano sicuri sulle strade della nostra vita. Affidiamo a loro noi stessi, i nostri cari e ciò che ci sta a cuore. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluti in ceco:

Saluto con gioia i pellegrini cechi, in particolare i fedeli della Diocesi di Ostrava-Opava, accompagnati dal Vescovo Mons. Frantisek Václav. Cari fratelli e sorelle, il vostro pellegrinaggio giubilare vi infonda il coraggio di essere gioiosi annunciatori e testimoni della misericordia di Dio. Mentre vi affido alla celeste intercessione del vostro Patrono San Venceslao, del quale oggi facciamo memoria, di cuore imparto a voi e alle vostre famiglie la Benedizione Apostolica!

Saluti in sloveno:

Sono lieto di accogliere i pellegrini sloveni, in particolare i fedeli delle Diocesi di Celje, Murska Sobota e Novo mesto, accompagnati dai rispettivi Vescovi. Cari fratelli e sorelle, il passaggio della Porta Santa rinvigorisca la vostra fede e rafforzi l’appartenenza alla famiglia ecclesiale. Mentre auspico che la misericordia e l’amore di Dio siano la fonte del vostro apostolato, di cuore imparto a voi e alle vostre famiglie la Benedizione Apostolica. Siano lodati Gesù e Maria!

 

Saluti in italiano:

 

Un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana!

Sono lieto di accogliere i fedeli delle Diocesi di Ascoli Piceno – anche voi avete sofferto! –, con il Vescovo Mons. Giovanni D’Ercole, e di Otranto con l’Arcivescovo Mons. Donato Negro, e quelli di Modena-Nonantola. Cari fratelli e sorelle, il vostro pellegrinaggio per l’Anno Santo esprima il senso di comunione con la Chiesa universale e vi renda testimoni di misericordia nelle vostre chiese locali.

Saluto la delegazione della Diocesi di Roma che ha preparato la Settimana della Famiglia, che si terrà dal 2 all’8 ottobre. Per loro accenderò tra poco una fiaccola, simbolo dell’amore delle famiglie di Roma e del mondo intero.

Un pensiero speciale rivolgo all’Arcivescovo di Potenza e al gruppo di operai licenziati della Basilicata, ed auspico che la grave congiuntura occupazionale possa trovare una positiva soluzione mediante un incisivo impegno da parte di tutti per aprire vie di speranza. Non può salire più la percentuale della disoccupazione!

Saluto le partecipanti al Capitolo Generale delle Suore Terziarie Cappuccine della Sacra Famiglia; l’Associazione Anziani con i ciclisti del Gruppo Generali; i partecipanti all’iniziativa “Italian Wonder Ways” con il Vescovo Mons. Paolo Giulietti; e i fedeli di Pieve di Soligo, qui presenti per ricordare l’anniversario della morte di Giovanni Paolo I.

Porgo infine il mio saluto ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. L’esempio di carità di san Vincenzo de’ Paoli, che ieri abbiamo ricordato quale patrono delle associazioni di carità, conduca voi, cari giovani, ad attuare i progetti del vostro futuro con un gioioso e disinteressato servizio al prossimo. Aiuti voi, cari ammalati, ad affrontare la sofferenza con lo sguardo rivolto a Cristo. E solleciti voi, cari sposi novelli, a costruire una famiglia sempre aperta ai poveri e al dono della vita.

.

Appello del Santo Padre:

Il mio pensiero va un’altra volta all’amata e martoriata Siria. Continuano a giungermi notizie drammatiche sulla sorte delle popolazioni di Aleppo, alle quali mi sento unito nella sofferenza, attraverso la preghiera e la vicinanza spirituale. Nell’esprimere profondo dolore e viva preoccupazione per quanto accade in questa già martoriata città, dove muoiono bambini, anziani, ammalati, giovani, vecchi, tanti … rinnovo a tutti l’appello ad impegnarsi con tutte le forze nella protezione dei civili, quale obbligo imperativo ed urgente. Mi appello alla coscienza dei responsabili dei bombardamenti, che dovranno dare conto davanti a Dio.

 

 

 

  

 

 Santa Messa presieduta dal Santo Padre Francesco

per il Giubileo dei Catechisti e recita dell’Angelus 

 

Piazza San Pietro, domenica 25 Settembre 2016

 

%_tempFileName00710_25092016%

 

%_tempFileName01137_25092016%

 

Alle ore 10.30 del 25 Settembre, XXVI Domenica del Tempo Ordinario, in occasione del Giubileo dei Catechisti, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa sul sagrato della Basilica Vaticana.
Dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa ha tenuto l’omelia. Ne riportiamo di seguito il testo:

 

L’Apostolo Paolo nella seconda lettura rivolge a Timoteo, ma anche a noi, alcune raccomandazioni che gli stanno a cuore. Tra queste, chiede di «conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento» (1 Tm 6,14). Parla semplicemente di un comandamento. Sembra che voglia farci tenere fisso lo sguardo su ciò che è essenziale per la fede. San Paolo, infatti, non raccomanda tanti punti e aspetti, ma sottolinea il centro della fede. Questo centro attorno al quale tutto ruota, questo cuore pulsante che dà vita a tutto è l’annuncio pasquale, il primo annuncio: il Signore Gesù è risorto, il Signore Gesù ti ama, per te ha dato la sua vita; risorto e vivo, ti sta accanto e ti attende ogni giorno. Non dobbiamo mai dimenticarlo. In questo Giubileo dei catechisti, ci è chiesto di non stancarci di mettere al primo posto l’annuncio principale della fede: il Signore è risorto. Non ci sono contenuti più importanti, nulla è più solido e attuale. Ogni contenuto della fede diventa bello se resta collegato a questo centro, se è attraversato dall’annuncio pasquale. Invece, se si isola, perde senso e forza. Siamo chiamati sempre a vivere e annunciare la novità dell’amore del Signore: “Gesù ti ama veramente, così come sei. Fagli posto: nonostante le delusioni e le ferite della vita, lasciagli la possibilità di amarti. Non ti deluderà”.

Il comandamento di cui parla San Paolo ci fa pensare anche al comandamento nuovo di Gesù: «che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12). È amando che si annuncia Dio-Amore: non a forza di convincere, mai imponendo la verità, nemmeno irrigidendosi attorno a qualche obbligo religioso o morale. Dio si annuncia incontrando le persone, con attenzione alla loro storia e al loro cammino. Perché il Signore non è un’idea, ma una Persona viva: il suo messaggio passa con la testimonianza semplice e vera, con l’ascolto e l’accoglienza, con la gioia che si irradia. Non si parla bene di Gesù quando si è tristi; nemmeno si trasmette la bellezza di Dio solo facendo belle prediche. Il Dio della speranza si annuncia vivendo nell’oggi il Vangelo della carità, senza paura di testimoniarlo anche con forme nuove di annuncio.

Il Vangelo di questa Domenica ci aiuta a capire che cosa vuol dire amare, soprattutto ad evitare alcuni rischi. Nella parabola c’è un uomo ricco, che non si accorge di Lazzaro, un povero che «stava alla sua porta» (Lc 16,20). Questo ricco, in realtà, non fa del male a nessuno, non si dice che è cattivo. Ha però un’infermità più grande di quella di Lazzaro, che pure era «coperto di piaghe» (ibid.): questo ricco soffre di una forte cecità, perché non riesce a guardare al di là del suo mondo, fatto di banchetti e bei vestiti. Non vede oltre la porta di casa sua, dove giace Lazzaro, perché non gli interessa quello che succede fuori. Non vede con gli occhi perché non sente col cuore. Nel suo cuore è entrata la mondanità che anestetizza l’anima. La mondanità è come un “buco nero” che ingoia il bene, che spegne l’amore, perché fagocita tutto nel proprio io. Allora si vedono solo le apparenze e non ci si accorge degli altri, perché si diventa indifferenti a tutto. Chi soffre questa grave cecità assume spesso comportamenti “strabici”: guarda con riverenza le persone famose, di alto rango, ammirate dal mondo, e distoglie lo sguardo dai tanti Lazzaro di oggi, dai poveri e dai sofferenti che sono i prediletti del Signore.

Ma il Signore guarda a chi è trascurato e scartato dal mondo. Lazzaro è l’unico personaggio, in tutte le parabole di Gesù, ad essere chiamato per nome. Il suo nome vuol dire: “Dio aiuta”. Dio non lo dimentica, lo accoglierà nel banchetto del suo Regno, insieme ad Abramo, in una ricca comunione di affetti. L’uomo ricco, invece, nella parabola non ha neppure un nome; la sua vita cade dimenticata, perché chi vive per sé non fa la storia. E un cristiano deve fare la storia! Deve uscire da sé stesso, per fare la storia! Ma chi vive per sé non fa la storia. L’insensibilità di oggi scava abissi invalicabili per sempre. E noi siamo caduti, in questo momento, in questa malattia dell’indifferenza, dell’egoismo, della mondanità.

C’è un altro particolare nella parabola, un contrasto. La vita opulenta di quest’uomo senza nome è descritta come ostentata: tutto in lui reclama bisogni e diritti. Anche da morto insiste per essere aiutato e pretende i suoi interessi. La povertà di Lazzaro, invece, si esprime con grande dignità: dalla sua bocca non escono lamenti, proteste o parole di disprezzo. È un insegnamento valido: come servitori della parola di Gesù siamo chiamati a non ostentare apparenza e a non ricercare gloria; nemmeno possiamo essere tristi o lamentosi. Non siamo profeti di sventura che si compiacciono di scovare pericoli o deviazioni; non gente che si trincera nei propri ambienti, emettendo giudizi amari sulla società, sulla Chiesa, su tutto e tutti, inquinando il mondo di negatività. Lo scetticismo lamentevole non appartiene a chi è familiare con la Parola di Dio.

Chi annuncia la speranza di Gesù è portatore di gioia e vede lontano, ha orizzonti, non ha un muro che lo chiude; vede lontano perché sa guardare al di là del male e dei problemi. Al tempo stesso vede bene da vicino, perché è attento al prossimo e alle sue necessità. Il Signore oggi ce lo chiede: dinanzi a tanti Lazzaro che vediamo, siamo chiamati a inquietarci, a trovare vie per incontrare e aiutare, senza delegare sempre ad altri o dire: “ti aiuterò domani, oggi non ho tempo, ti aiuterò domani”. E questo è un peccato. Il tempo per soccorrere gli altri è tempo donato a Gesù, è amore che rimane: è il nostro tesoro in cielo, che ci procuriamo qui sulla terra.

In conclusione, cari catechisti e cari fratelli e sorelle, il Signore ci dia la grazia di essere rinnovati ogni giorno dalla gioia del primo annuncio: Gesù è morto e risorto, Gesù ci ama personalmente! Ci doni la forza di vivere e annunciare il comandamento dell’amore, superando la cecità dell’apparenza e le tristezze mondane. Ci renda sensibili ai poveri, che non sono un’appendice del Vangelo, ma una pagina centrale, sempre aperta davanti a tutti.

 

Al termine della Santa Messa celebrata sul sagrato della Basilica Vaticana per il Giubileo dei Catechisti, Papa Francesco ha guidato la recita dell’Angelus con i fedeli ed i pellegrini presenti in Piazza San Pietro. 
Queste le parole del Santo Padre nell’introdurre la preghiera mariana:


Cari fratelli e sorelle,

ieri, a Würzburg (Germania), è stato proclamato Beato Engelmar Unzeitig, sacerdote della Congregazione dei Missionari di Mariannhill. Ucciso in odio alla fede nel campo di sterminio di Dachau, egli all’odio contrappose l’amore, alla ferocia rispose con la mitezza. Il suo esempio ci aiuti ad essere testimoni di carità e di speranza anche in mezzo alle tribolazioni.

Mi associo ben volentieri ai Vescovi del Messico nel sostenere l’impegno della Chiesa e della società civile in favore della famiglia e della vita, che in questo tempo richiedono speciale attenzione pastorale e culturale in tutto il mondo. E inoltre assicuro la mia preghiera per il caro popolo messicano, perché cessi la violenza che in questi giorni ha colpito anche alcuni sacerdoti.

Oggi ricorre la Giornata Mondiale del Sordo. Desidero salutare tutte le persone sorde, qui pure rappresentate, e incoraggiarle a dare il loro contributo per una Chiesa e una società sempre più capaci di accogliere tutti.

E infine rivolgo il mio speciale saluto a tutti voi, carissimi catechisti! Grazie del vostro impegno nella Chiesa al servizio dell’evangelizzazione, nella trasmissione della fede. La Madonna vi aiuti a perseverare nel cammino della fede e a testimoniare con la vita ciò che trasmettete nella catechesi.

 

 

  

 

 Udienza del Santo Padre ai familiari delle vittime

dell’attentato di Nizza del 14 Luglio scorso 

 

Aula Paolo VI, sabato 24 Settembre 2016

%_tempFileName02079_24092016%

 

Alle ore 11.45 di sabato 234 Settembre, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i familiari delle vittime dell’attentato di Nizza avvenuto il 14 luglio scorso.
Pubblichiamo di seguito il testo del discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’incontro:


Mes chers frères et sœurs, je m’excuse de parler italien, mais mon français n’est pas bon.

Con viva commozione incontro voi, che soffrite nel vostro corpo o nel vostro animo perché, una sera di festa, la violenza vi ha colpito ciecamente, voi o uno dei vostri cari, senza badare all’origine o alla religione. Desidero condividere il vostro dolore, un dolore che si fa ancora più forte quando penso ai bambini, persino a intere famiglie, la cui vita è stata strappata all’improvviso e in modo drammatico. A ciascuno di voi assicuro la mia compassione, la mia vicinanza e la mia preghiera.

Care famiglie, invoco il nostro Padre celeste, Padre di tutti, perché accolga con sé i vostri cari defunti, perché trovino presto il riposo e la gioia della vita eterna. Per noi cristiani, il fondamento della speranza è Gesù Cristo morto e risorto. L’Apostolo Paolo ce lo assicura: «Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui» (Rm 6,8-9). Possa la certezza della vita eterna, che appartiene anche a credenti di altre religioni, esservi di consolazione nel corso della vita, e costituire un forte motivo di perseveranza per continuare con coraggio il vostro cammino quaggiù.

Prego il Dio di misericordia anche per tutte le persone rimaste ferite, in certi casi atrocemente mutilate, nella carne o nello spirito, e non dimentico tutti coloro che per questo non sono potuti venire o sono ancora in ospedale. La Chiesa vi resta vicina e vi accompagna con immensa compassione. Con la sua presenza accanto a voi in questi momenti così pesanti da affrontare, essa chiede al Signore di venirvi in aiuto e di mettere nei vostri cuori sentimenti di pace e di fraternità.

Il dramma che ha conosciuto la città di Nizza ha suscitato dappertutto significativi gesti di solidarietà e di accompagnamento. Ringrazio tutte le persone che, immediatamente, hanno dato soccorso alle vittime, o che fino ad oggi, e di certo ancora a lungo, si dedicano a sostenere e accompagnare le famiglie. Penso naturalmente alla Comunità cattolica e al suo Vescovo, Monsignor André Marceau, ma anche ai servizi di assistenza e al mondo associativo, in particolare all’associazione Alpes-Maritimes Fraternité, qui presente, che raccoglie rappresentanti di tutte le confessioni religiose, e questo è un segno molto bello di speranza. Mi rallegro di vedere che tra voi le relazioni interreligiose sono molto vive, e questo non può che contribuire ad alleviare le ferite di questi drammatici avvenimenti.

Infatti, stabilire un dialogo sincero e relazioni fraterne tra tutti, in particolare tra quanti confessano un Dio unico e misericordioso, è una urgente priorità che i responsabili, sia politici sia religiosi, devono cercare di favorire e che ciascuno è chiamato ad attuare intorno a sé. Quando la tentazione di ripiegarsi su sé stessi, oppure di rispondere all’odio con l’odio e alla violenza con la violenza è grande, un’autentica conversione del cuore è necessaria. E’ questo il messaggio che il Vangelo di Gesù rivolge a tutti noi. Si può rispondere agli assalti del demonio solo con le opere di Dio che sono perdono, amore e rispetto del prossimo, anche se è differente.

Cari fratelli e sorelle, vi assicuro ancora una volta la mia preghiera e tutta la tenerezza del Successore di Pietro. Prego anche per il vostro caro Paese e per i suoi responsabili, affinché si costruisca senza stancarsi una società giusta, pacifica e fraterna. Come segno della mia vicinanza, invoco su ciascuno di voi l’aiuto della Vergine Maria e l’abbondanza delle celesti benedizioni.

Le Seigneur bénisse vous tous.

 

 

  

 

 Udienza del Santo Padre Francesco

alle Suore Ospedaliere della Misericordia

 

Sala Clementina del Palazzo Apostolico, sabato 24 Settembre 2016

%_tempFileName00061_24092016%

 

Alle ore 10.50 di sabato 24 Settembre, nella Sala Clementina, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza le Suore Ospedaliere della Misericordia e ha rivolto loro il discorso che pubblichiamo di seguito:

 

Care Sorelle, buongiorno!

Con gioia vi accolgo nei giorni del Giubileo della Misericordia, che vi trova particolarmente coinvolte perché corrisponde in modo diretto alla vostra vocazione. Saluto mons. Fisichella, che sta portando avanti questo Giubileo. Ringrazio Madre Paola Iacovone per le parole che mi ha rivolto; e ringrazio il Signore per l’impegno che la vostra famiglia religiosa pone nel cammino di fedeltà al carisma originario, attenta alle nuove forme di povertà dei nostri tempi. Voi siete un segno concreto di come si esprime la misericordia del Padre.

L’intuizione della vostra fondatrice, la Serva di Dio Teresa Orsini Doria Pamphili Landi, mostra in modo eloquente quanto la Parola del Signore possa cambiare la vita di chi diventa suo discepolo. Questa nobildonna, laica, sostenuta da due sacerdoti, si lasciò guidare dalle parole di Gesù: Ero ammalato e mi avete assistito (cfr Mt 25,36). Davanti alla debolezza della malattia non possono esistere distinzioni di stato sociale, razza, lingua e cultura; tutti diventiamo deboli e dobbiamo affidarci agli altri.

La Chiesa sente come suo impegno e sua responsabilità la vicinanza a quanti soffrono, per portare ad essi consolazione, conforto e amicizia. Voi dedicate la vostra vita soprattutto al servizio di fratelli e delle sorelle che sono ricoverati negli ospedali, perché grazie alla vostra presenza e professionalità si sentano maggiormente sostenuti nella malattia. E per fare questo non c’è bisogno di lunghi discorsi: una carezza, un bacio, stare accanto in silenzio, un sorriso. Non arrendetevi mai in questo servizio così prezioso, nonostante tutte le difficoltà che potete incontrare. Talvolta, ai nostri giorni, una cultura laicista mira a togliere anche dagli ospedali ogni riferimento religioso, a partire dalla presenza stessa delle Suore. Quando questo avviene, però, si accompagna non di rado a dolorose carenze di umanità, davvero stridenti nei luoghi di sofferenza. Non stancatevi di essere amiche, sorelle e madri degli ammalati; la preghiera sia sempre la linfa che sostiene la vostra missione evangelizzatrice.

Quando vi accostate ad ogni ammalato abbiate nel cuore la pace e la gioia che sono frutto dello Spirito Santo. Su quel letto di ospedale giace sempre Gesù, presente in quella persona che soffre, ed è Lui che chiede aiuto a ciascuna di voi. E’ Gesù. Alle volte uno può pensare: “Alcuni ammalati danno fastidio”. Ma anche noi diamo fastidio al Signore, e ci sopporta e ci accompagna! La vicinanza a Gesù e ai più deboli sia la vostra forza. Il quarto voto che vi caratterizza come famiglia religiosa è quanto mai attuale, soprattutto perché si moltiplicano le persone senza famiglia, senza casa, senza patria e bisognose di accoglienza. Vivendo con coerenza questo voto peculiare, assumete in voi stesse i sentimenti di Cristo, il quale «da ricco che era si è fatto povero» (2 Cor8,9). Vi accompagni sempre la Santa Madre della Misericordia e vi sostenga nel servizio quotidiano ai più deboli. Vi benedico di cuore e vi chiedo per favore di pregare per me.

E adesso, se Lei, Madre, ha la preghiera per la consacrazione, possiamo fare insieme la consacrazione dell’Istituto alla Madre della Misericordia.

 

 

  

 

 Udienza del Santo Padre Francesco

al Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti italiani 

 

Sala Clementina del Palazzo Apostolico, giovedì 22 Settembre 2016

 

%_tempFileName03795_22092016%

 

Alle ore 12 di giovedì 22 Settembre, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. Dopo gli indirizzi di omaggio del Prefetto della Segreteria per la Comunicazione, Mons. Dario E. Viganò e del Presidente dell’Ordine, Enzo Iacopino, il Papa ha rivolto ai presenti il seguente discorso:

 

Gentili Signori e Signore,

Vi ringrazio per la vostra visita. In particolare ringrazio il Presidente per le parole con cui ha introdotto il nostro incontro. Ringrazio il Prefetto della Segreteria per la Comunicazione anche per le sue parole.

Ci sono poche professioni che hanno tanta influenza sulla società come quella del giornalismo. Il giornalista riveste un ruolo di grande importanza e al tempo stesso di grande responsabilità. In qualche modo voi scrivete la “prima bozza della storia”, costruendo l’agenda delle notizie e introducendo le persone all’interpretazione degli eventi. E questo è tanto importante. I tempi cambiano e cambia anche il modo di fare il giornalista. Sia la carta stampata sia la televisione perdono rilevanza rispetto ai nuovi media del mondo digitale – specialmente fra i giovani – ma i giornalisti, quando hanno professionalità, rimangono una colonna portante, un elemento fondamentale per la vitalità di una società libera e pluralista. Anche la Sante Sede – a fronte del cambiamento del mondo dei media – ha vissuto e sta vivendo un processo di rinnovamento del sistema comunicativo, da cui voi pure dovreste ricevere beneficio; e la Segreteria per la Comunicazione sarà il naturale punto di riferimento per il vostro prezioso lavoro.

Oggi vorrei condividere con voi una riflessione su alcuni aspetti della professione giornalistica, e come questa può servire per il miglioramento della società in cui viviamo. Per tutti noi è indispensabile fermarci a riflettere su ciò che stiamo facendo e su come lo stiamo facendo. Nella vita spirituale, questo assume spesso la forma di una giornata di ritiro, di approfondimento interiore. Penso che anche nella vita professionale ci sia bisogno di questo, di un po’ di tempo per fermarsi e riflettere. Certo, questo non è facile nell’ambito giornalistico, una professione che vive di continui “tempi di consegna” e “date di scadenza”. Ma, almeno per un breve momento, cerchiamo di approfondire un po’ la realtà del giornalismo.

Mi soffermo su tre elementi: amare la verità, unacosa fondamentale per tutti, ma specialmente per i giornalisti; vivere con professionalità, qualcosa che va ben oltre le leggi e i regolamenti; erispettare la dignità umana, che è molto più difficile di quanto si possa pensare a prima vista.

Amare la verità vuol dire non solo affermare, ma vivere la verità, testimoniarla con il proprio lavoro. Vivere e lavorare, dunque, con coerenza rispetto alle parole che si utilizzano per un articolo di giornale o un servizio televisivo. La questione qui non è essere o non essere un credente. La questione qui è essere o non essere onesto con sé stesso e con gli altri. La relazione è il cuore di ogni comunicazione. Questo è tanto più vero per chi della comunicazione fa il proprio mestiere. E nessuna relazione può reggersi e durare nel tempo se poggia sulla disonestà. Mi rendo conto che nel giornalismo di oggi – un flusso ininterrotto di fatti ed eventi raccontati 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana – non è sempre facile arrivare alla verità, o perlomeno avvicinarsi ad essa. Nella vita non è tutto bianco o nero. Anche nel giornalismo, bisogna saper discernere tra le sfumature di grigio degli avvenimenti che si è chiamati a raccontare. I dibattiti politici, e perfino molti conflitti, sono raramente l’esito di dinamiche distintamente chiare, in cui riconoscere in modo netto e inequivocabile chi ha torto e chi ha ragione. Il confronto e a volte lo scontro, in fondo, nascono proprio da tale difficoltà di sintesi tra le diverse posizioni. E’ questo il lavoro – potremmo dire anche la missione – difficile e necessaria al tempo stesso di un giornalista: arrivare il più vicino possibile alla verità dei fatti e non dire o scrivere mai una cosa che si sa, in coscienza, non essere vera.

Secondo elemento: vivere con professionalità vuol dire innanzitutto – al di là di ciò che possiamo trovare scritto nei codici deontologici – comprendere, interiorizzare il senso profondo del proprio lavoro. Da qui deriva la necessità di non sottomettere la propria professione alle logiche degli interessi di parte, siano essi economici o politici. Compito del giornalismo, oserei dire la sua vocazione, è dunque – attraverso l’attenzione, la cura per la ricerca della verità – far crescere la dimensione sociale dell’uomo, favorire la costruzione di una vera cittadinanza. In questa prospettiva di orizzonte ampio, quindi, operare con professionalità vuol dire non solo rispondere alle preoccupazioni, pur legittime, di una categoria, ma avere a cuore uno degli architravi della struttura di una società democratica. Dovrebbe sempre farci riflettere che, nel corso della storia, le dittature – di qualsiasi orientamento e “colore” – hanno sempre cercato non solo di impadronirsi dei mezzi di comunicazione, ma pure di imporre nuove regole alla professione giornalistica.

E terzo: rispettare la dignità umana è importante in ogni professione, e in modo particolare nel giornalismo, perché anche dietro il semplice racconto di un avvenimento ci sono i sentimenti, le emozioni e, in definitiva, la vita delle persone. Spesso ho parlato delle chiacchiere come “terrorismo”, di come si può uccidere una persona con la lingua. Se questo vale per le persone singole, in famiglia o al lavoro, tanto più vale per i giornalisti, perché la loro voce può raggiungere tutti, e questa è un’arma molto potente. Il giornalismo deve sempre rispettare la dignità della persona. Un articolo viene pubblicato oggi e domani verrà sostituito da un altro, ma la vita di una persona ingiustamente diffamata può essere distrutta per sempre. Certo la critica è legittima, e dirò di più, necessaria, così come la denuncia del male, ma questo deve sempre essere fatto rispettando l’altro, la sua vita, i suoi affetti. Il giornalismo non può diventare un’“arma di distruzione” di persone e addirittura di popoli. Né deve alimentare la paura davanti a cambiamenti o fenomeni come le migrazioni forzate dalla guerra o dalla fame.

Auspico che sempre più e dappertutto il giornalismo sia uno strumento di costruzione, un fattore di bene comune, un acceleratore di processi di riconciliazione; che sappia respingere la tentazione di fomentare lo scontro, con un linguaggio che soffia sul fuoco delle divisioni, e piuttosto favorisca lacultura dell’incontro. Voi giornalisti potete ricordare ogni giorno a tutti che non c’è conflitto che non possa essere risolto da donne e uomini di buona volontà.

Vi ringrazio per questo incontro; vi auguro ogni bene per il vostro lavoro. Il Signore vi benedica. Vi accompagno con la mia preghiera e la mia simpatia, e vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie.

 

 

  

 

 La catechesi del Santo Padre Francesco all’Udienza Generale 

 

Piazza San Pietro, mercoledì 21 Settembre 2016

 

%_tempFileName289029_21092016%

 

L’Udienza Generale di mercoledì 21 Settembre si è svolta alle ore 10 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Francesco incontra gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando la catechesi sulla misericordia, ha incentrato la sua meditazione sul tema: “Misericordiosi come il Padre” (cfr Lc 6,36-38).

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto un appello per la XXIIIGiornata mondiale per l’Alzheimer che ricorre oggi.

L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

 

Abbiamo ascoltato il brano del Vangelo di Luca (6,36-38) da cui è tratto il motto di questo Anno Santo straordinario: Misericordiosi come il Padre. L’espressione completa è: «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (v. 36). Non si tratta di uno slogan ad effetto, ma di un impegno di vita. Per comprendere bene questa espressione, possiamo confrontarla con quella parallela del Vangelo di Matteo, dove Gesù dice: «Voi dunque siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (5,48). Nel cosiddetto discorso della montagna, che si apre con le Beatitudini, il Signore insegna che la perfezione consiste nell’amore, compimento di tutti i precetti della Legge. In questa stessa prospettiva, san Luca esplicita che la perfezione è l’amore misericordioso: essereperfetti significa essere misericordiosi. Una persona che non è misericordiosa è perfetta? No! Una persona che non è misericordiosa è buona? No! La bontà e la perfezione si radicano nella misericordia. Certo, Dio è perfetto. Tuttavia, se lo consideriamo così, diventa impossibile per gli uomini tendere a quella assoluta perfezione. Invece, averlo dinanzi agli occhi come misericordioso, ci permette di comprendere meglio in che cosa consiste la sua perfezione e ci sprona ad essere come Lui pieni di amore, di compassione, di misericordia.

Ma mi domando: le parole di Gesù sono realistiche? È davvero possibile amare come ama Dio ed essere misericordiosi come Lui?

Se guardiamo la storia della salvezza, vediamo che tutta la rivelazione di Dio è un incessante e instancabile amore per gli uomini: Dio è come un padre o come una madre che ama di insondabile amore e lo riversa con abbondanza su ogni creatura. La morte di Gesù in croce è il culmine della storia d’amore di Dio con l’uomo. Un amore talmente grande che solo Dio lo può realizzare. È evidente che, rapportato a questo amore che non ha misura, il nostro amore sempre sarà in difetto. Ma quando Gesù ci chiede di essere misericordiosi come il Padre, non pensa alla quantità! Egli chiede ai suoi discepoli di diventare segno, canali, testimoni della sua misericordia.

E la Chiesa non può che essere sacramento della misericordia di Dio nel mondo, in ogni tempo e verso tutta l’umanità. Ogni cristiano, pertanto, è chiamato ad essere testimone della misericordia, e questo avviene in cammino di santità. Pensiamo a quanti santi sono diventati misericordiosi perché si sono lasciati riempire il cuore dalla divina misericordia. Hanno dato corpo all’amore del Signore riversandolo nelle molteplici necessità dell’umanità sofferente. In questo fiorire di tante forme di carità è possibile scorgere i riflessi del volto misericordioso di Cristo.

Ci domandiamo: Che cosa significa per i discepoli essere misericordiosi? Viene spiegato da Gesù con due verbi: «perdonare» (v. 37) e «donare» (v. 38).

La misericordia si esprime, anzitutto, nel perdono: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati» (v. 37). Gesù non intende sovvertire il corso della giustizia umana, tuttavia ricorda ai discepoli che per avere rapporti fraterni bisogna sospendere i giudizi e le condanne. È il perdono infatti il pilastro che regge la vita della comunità cristiana, perché in esso si mostra la gratuità dell’amore con cui Dio ci ha amati per primo. Il cristiano deve perdonare! Ma perché? Perché è stato perdonato. Tutti noi che stiamo qui, oggi, in piazza, siamo stati perdonati. Nessuno di noi, nella propria vita, non ha avuto bisogno del perdono di Dio. E perché noi siamo stati perdonati, dobbiamo perdonare. Lo recitiamo tutti i giorni nel Padre Nostro: “Perdona i nostri peccati; perdona i nostri debiti come noi li perdoniamo ai nostri debitori”. Cioè perdonare le offese, perdonare tante cose, perché noi siamo stati perdonati da tante offese, da tanti peccati. E così è facile perdonare: se Di ha perdonato me, perché non devo perdonare gli altri? Sono più grande di Dio? Questo pilastro del perdono ci mostra la gratuità dell’amore di Dio, che ci ha amato per primi. Giudicare e condannare il fratello che pecca è sbagliato. Non perché non si voglia riconoscere il peccato, ma perché condannare il peccatore spezza il legame di fraternità con lui e disprezza la misericordia di Dio, che invece non vuole rinunciare a nessuno dei suoi figli. Non abbiamo il potere di condannare il nostro fratello che sbaglia, non siamo al di sopra di lui: abbiamo piuttosto il dovere di recuperarlo alla dignità di figlio del Padre e di accompagnarlo nel suo cammino di conversione.

Alla sua Chiesa, a noi, Gesù indica anche un secondo pilastro: “donare”. Perdonare è il primo pilastro; donare è il secondo pilastro. «Date e vi sarà dato […] con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (v. 38). Dio dona ben al di là dei nostri meriti, ma sarà ancora più generoso con quanti qui in terra saranno stati generosi. Gesù non dice cosa avverrà a coloro che non donano, ma l’immagine della “misura” costituisce un ammonimento: con la misura dell’amore che diamo, siamo noi stessi a decidere come saremo giudicati, come saremo amati. Se guardiamo bene, c’è una logica coerente: nella misura in cui si riceve da Dio, si dona al fratello, e nella misura in cui si dona al fratello, si riceve da Dio!

L’amore misericordioso è perciò l’unica via da percorrere. Quanto bisogno abbiamo tutti di essere un po’ più misericordiosi, di non sparlare degli altri, di non giudicare, di non “spiumare” gli altri con le critiche, con le invidie, con le gelosie. Dobbiamo perdonare, essere misericordiosi, vivere la nostra vita nell’amore. Questo amore permette ai discepoli di Gesù di non perdere l’identità ricevuta da Lui, e di riconoscersi come figli dello stesso Padre. Nell’amore che essi praticano nella vita si riverbera così quella Misericordia che non avrà mai fine (cfr 1 Cor 13,1-12). Ma non dimenticatevi di questo: misericordia e dono; perdono e dono. Così il cuore si allarga, si allarga nell’amore. Invece l’egoismo, la rabbia, fanno il cuore piccolo, che si indurisce come una pietra. Cosa preferite voi? Un cuore di pietra o un cuore pieno di amore? Se preferite un cuore pieno di amore, siate misericordiosi!

 

Saluti in francese:

Sono lieto di salutare i pellegrini di lingua francese, in particolare i fedeli della Diocesi di Angoulême, con il loro Vescovo Mons. Hervé Gosselin, come pure quelli venuti da diverse regioni di Francia, Belgio, Cameroun, Grecia, Costa d’Avorio e Canada. In questo anno della Misericordia, accogliamo con fede l’amore del Signore nella nostra vita e camminiamo con coraggio sulla strada del perdono e del dono che Gesù ci propone. Che Dio vi benedica!


Saluti in inglese:

Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra, Scozia, Irlanda, Danimarca, Norvegia, Giappone, Cina, Indonesia, Malaysia, Vietnam, Filippine, Sud Africa, Australia, Canada e Stati Uniti d’America. Possiate aprire le vostre vite al dono della misericordia del Signore, per condividerlo con tutti quelli che conoscete. Come figli del Padre Celeste, siate missionari del Suo amore misericordioso. Dio vi benedica tutti!

Saluti in tedesco:

Rivolgo un cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua tedesca, in particolare alle studentesse dellaMädchen-Realschule Sankt Josef di Schwandorf. Con le vostre opere di misericordia, fate risplendere sempre di più nel mondo il volto misericordioso di Gesù. Vi auguro un buon soggiorno a Roma e di cuore vi benedico tutti.

Saluti in portoghese:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua portoghese, in particolare a tutti i fedeli brasiliani. Cari amici, essere misericordiosi significa saper tendere la mano, offrire un sorriso, compiere un gesto di amore verso quanti sono nel bisogno. Quando siamo generosi, non mancano mai le benedizioni di Dio. Grazie.

Saluti in arabo:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a ‎quelli provenienti dall’Iraq e dal Medio Oriente. Ogni gesto di misericordia, ‎compiuto con generosità d’animo e bontà di cuore, fa risuonare nel mondo ‎l’eco dell’amore divino. Siate dunque la finestra dalla quale Dio si affaccia ‎per fasciare le ferite dell’umanità‏ ‏col balsamo della Sua Misericordia! Il ‎Signore vi benedica tutti e vi protegga dal ‎maligno!

Saluti in polacco:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Auspico che il vostro soggiorno a Roma rafforzi la vostra fede e la vostra comunione con la Chiesa. Attraversando la Porta Santa chiedete il dono dell’indulgenza per voi stessi, per i vostri cari e per i vostri defunti. Questo passaggio sia per voi un segno della misericordia di Dio. Lo spirito dell’amore reciproco pervada i vostri cuori e irradi quella Misericordia che non avrà mai fine. Vi benedico di cuore!

Saluti in slovacco:

Con affetto do il benvenuto ai fedeli slovacchi, particolarmente ai gruppi parrocchiali, alle scuole come pure ai partecipanti all’Undicesimo pellegrinaggio dell’Ordinariato militare, guidati dall’Ordinario Mons. František Rábek. Fratelli e sorelle, oggi celebriamo nella liturgia la festa di San Matteo, Apostolo ed Evangelista. La sua generosa risposta alla chiamata di Cristo illumini la vostra vita cristiana. Con tali voti di cuore benedico voi e le vostre famiglie in Patria. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluti in turco:

Con particolare gioia saluto i pellegrini turchi: i fedeli della Arcidiocesi di Smirne, guidati dal loro Pastore Mons. Lorenzo Piretto. Cari fratelli e sorelle, questa esperienza di grazia vi aiuti a rimanere sempre saldi nella fede e a testimoniare il vangelo della misericordia nella vita di tutti i giorni. Vi assicuro la mia preghiera e con affetto benedico voi e le vostre famiglie!

 

Saluti in italiano:

 

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Sono lieto di accogliere i fedeli delle Diocesi di Acqui, Grosseto, Nola, Sessa Aurunca e Tortona, accompagnati dai rispettivi Vescovi, e il Seminario Maggiore Interdiocesano di Udine, Trieste e Gorizia, accompagnato dall’Arcivescovo Mons. Mazzocato: auspico che il pellegrinaggio giubilare e il passaggio della Porta Santa alimenti in voi la fede, dia nuovo slancio alla speranza e renda feconda la carità con un’attenzione sempre più viva alle necessità dei fratelli bisognosi!

Saluto i partecipanti al corso promosso dalla Pontificia università della Santa Croce; la giunta comunale di Taranto con l’Arcivescovo Mons. Santoro; i direttori delle Case della Divina Provvidenza d’Italia e i Missionari Monfortani, che ricordano il terzo centenario della nascita al cielo del fondatore San Luigi Maria Grignion de Monfort. La visita alle Tombe degli Apostoli favorisca in tutti il senso di appartenenza alla famiglia ecclesiale.

Porgo uno speciale saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Oggi ricorre la Festa di San Matteo, Apostolo ed Evangelista. La sua conversione sia di esempio a voi, cari giovani, per vivere la vita con i criteri della fede; la sua mansuetudine sostenga voi, cari ammalati, quando la sofferenza sembra insopportabile; e la sua sequela del Salvatore ricordi a voi, cari sposi novelli, l’importanza della preghiera nella storia matrimoniale che avete intrapreso.

Appello del Santo Padre:

Oggi ricorre la XXIII Giornata mondiale per l’Alzheimer, che ha per tema “Ricordati di me”. Invito tutti i presenti a “ricordarsi”, con la sollecitudine di Maria e con la tenerezza di Gesù Misericordioso, di quanti sono affetti da questo morbo e dei loro familiari per far sentire la nostra vicinanza. Preghiamo anche per le persone che si trovano accanto ai malati sapendo cogliere i loro bisogni, anche quelli più impercettibili, perché visti con occhi pieni di amore.

 

 

  

 

 Visita del Santo Padre Francesco ad Assisi per la Giornata mondiale di preghiera per la Pace “Sete di Pace. Religioni e Culture in dialogo”

Cerimonia Conclusiva 

 

Assisi, piazza San Francesco, martedì 20 Settembre 2016

%_tempFileName05811_20092016%

 

%_tempFileName06038_20092016%

 

Alle ore 17.15, tutti i partecipanti delle diverse religioni si sono incontrati in Piazza di San Francesco ad Assisi per la cerimonia conclusiva. Il Santo Padre ha raggiunto il palco assieme al Rabbino Abraham Skorka, Rettore del Seminario Rabbinico Marshall T. Meyer (Argentina); al Prof. Abbas Shuman, Vice-Presidente dell’Università Al-Azhar (Egitto) e al Molto Venerabile Gijun Sugitani, Consigliere Supremo della Scuola Buddista Tendai (Giappone).

La cerimonia è stata aperta dai saluti di S.E. Mons. Domenico Sorrentino, Arcivescovo-Vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, e di P. Mauro Gambetti, Custode del Sacro Convento di Assisi. Dopo l’introduzione del Prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha portato la sua testimonianza una vittima della guerra in Siria, la signora Tamar Mikalli, fuggita da Aleppo; sono intervenuti poi il Patriarca Bartolomeo I; il Prof. David Brodman, Rabbino di Israele; il Molto Venerabile Koei Morikawa, Patriarca del Buddismo Tendai (Giappone) e il Prof. Din Syamsuddin, Presidente del Consiglio degli Ulema (Indonesia).Quindi Papa Francesco ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:

 

Vostre Santità,
illustri Rappresentanti delle Chiese, delle Comunità cristiane e delle Religioni,
cari fratelli e sorelle!

Vi saluto con grande rispetto e affetto e vi ringrazio per la vostra presenza. Ringrazio la Comunità di Sant’Egidio, la Diocesi di Assisi e le Famiglie Francescane che hanno preparato questa giornata di preghiera. Siamo venuti ad Assisi come pellegrini in cerca di pace. Portiamo in noi e mettiamo davanti a Dio le attese e le angosce di tanti popoli e persone. Abbiamo sete di pace, abbiamo il desiderio di testimoniare la pace, abbiamo soprattutto bisogno di pregare per la pace, perché la pace è dono di Dio e a noi spetta invocarla, accoglierla e costruirla ogni giorno con il suo aiuto.

«Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Molti di voi hanno percorso un lungo cammino per raggiungere questo luogo benedetto. Uscire, mettersi in cammino, trovarsi insieme, adoperarsi per la pace: non sono solo movimenti fisici, ma soprattutto dell’animo, sono risposte spirituali concrete per superare le chiusure aprendosi a Dio e ai fratelli. Dio ce lo chiede, esortandoci ad affrontare la grande malattia del nostro tempo: l’indifferenza. E’ un virus che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che intacca il centro stesso della religiosità, ingenerando un nuovo tristissimo paganesimo: il paganesimo dell’indifferenza.

Non possiamo restare indifferenti. Oggi il mondo ha un’ardente sete di pace. In molti Paesi si soffre per guerre, spesso dimenticate, ma sempre causa di sofferenza e povertà. A Lesbo, con il caro Patriarca ecumenico Bartolomeo, abbiamo visto negli occhi dei rifugiati il dolore della guerra, l’angoscia di popoli assetati di pace. Penso a famiglie, la cui vita è stata sconvolta; ai bambini, che non hanno conosciuto nella vita altro che violenza; ad anziani, costretti a lasciare le loro terre: tutti loro hanno una grande sete di pace. Non vogliamo che queste tragedie cadano nell’oblio. Noi desideriamo dar voce insieme a quanti soffrono, a quanti sono senza voce e senza ascolto. Essi sanno bene, spesso meglio dei potenti, che non c’è nessun domani nella guerra e che la violenza delle armi distrugge la gioia della vita.

Noi non abbiamo armi. Crediamo però nella forza mite e umile della preghiera. In questa giornata, la sete di pace si è fatta invocazione a Dio, perché cessino guerre, terrorismo e violenze. La pace che da Assisi invochiamo non è una semplice protesta contro la guerra, nemmeno «è il risultato di negoziati, di compromessi politici o di mercanteggiamenti economici. Ma il risultato della preghiera» (Giovanni Paolo II, Discorso, Basilica di Santa Maria degli Angeli, 27 ottobre 1986:Insegnamenti IX,2 [1986], 1252). Cerchiamo in Dio, sorgente della comunione, l’acqua limpida della pace, di cui l’umanità è assetata: essa non può scaturire dai deserti dell’orgoglio e degli interessi di parte, dalle terre aride del guadagno a ogni costo e del commercio delle armi.

Diverse sono le nostre tradizioni religiose. Ma la differenza non è I motivo di conflitto, di polemica o di freddo distacco. Oggi non abbiamo pregato gli uni contro gli altri, come talvolta è purtroppo accaduto nella storia. Senza sincretismi e senza relativismi, abbiamo invece pregato gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri. San Giovanni Paolo II in questo stesso luogo disse: «Forse mai come ora nella storia dell’umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace» (Id., Discorso, Piazza inferiore della Basilica di San Francesco, 27 ottobre 1986: l.c., 1268). Continuando il cammino iniziato trent’anni fa ad Assisi, dove è viva la memoria di quell’uomo di Dio e di pace che fu San Francesco, «ancora una volta noi, insieme qui riuniti, affermiamo che chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l’ispirazione più autentica e profonda» (Id., Discorso ai Rappresentanti delle Religioni,Assisi, 24 gennaio 2002: Insegnamenti XXV,1 [2002], 104), che ogni forma di violenza non rappresenta «la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione» (Benedetto XVI, Intervento alla Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, Assisi, 27 ottobre 2011: Insegnamenti VII, 2 [2011], 512). Non ci stanchiamo di ripetere che mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!

Oggi abbiamo implorato il santo dono della pace. Abbiamo pregato perché le coscienze si mobilitino a difendere la sacralità della vita umana, a promuovere la pace tra i popoli e a custodire il creato, nostra casa comune. La preghiera e la collaborazione concreta aiutano a non rimanere imprigionati nelle logiche del conflitto e a rifiutare gli atteggiamenti ribelli di chi sa soltanto protestare e arrabbiarsi. La preghiera e la volontà di collaborare impegnano a una pace vera, non illusoria: non la quiete di chi schiva le difficoltà e si volta dall’altra parte, se i suoi interessi non sono toccati; non il cinismo di chi si lava le mani di problemi non suoi; non l’approccio virtuale di chi giudica tutto e tutti sulla tastiera di un computer, senza aprire gli occhi alle necessità dei fratelli e sporcarsi le mani per chi ha bisogno. La nostra strada è quella di immergerci nelle situazioni e dare il primo posto a chi soffre; di assumere i conflitti e sanarli dal di dentro; di percorrere con coerenza vie di bene, respingendo le scorciatoie del male; di intraprendere pazientemente, con l’aiuto di Dio e con la buona volontà, processi di pace.

Pace, un filo di speranza che collega la terra al cielo, una parola tanto semplice e difficile al tempo stesso. Pace vuol dire Perdono che, frutto della conversione e della preghiera, nasce dal di dentro e, in nome di Dio, rende possibile sanare le ferite del passato. Pace significa Accoglienza, disponibilità al dialogo, superamento delle chiusure, che non sono strategie di sicurezza, ma ponti sul vuoto. Pace vuol dire Collaborazione, scambio vivo e concreto con l’altro, che costituisce un dono e non un problema, un fratello con cui provare a costruire un mondo migliore. Pace significaEducazione: una chiamata ad imparare ogni giorno la difficile arte della comunione, ad acquisire la cultura dell’incontro, purificando la coscienza da ogni tentazione di violenza e di irrigidimento, contrarie al nome di Dio e alla dignità dell’uomo.

Noi qui, insieme e in pace, crediamo e speriamo in un mondo fraterno. Desideriamo che uomini e donne di religioni differenti, ovunque si riuniscano e creino concordia, specie dove ci sono conflitti. Il nostro futuro è vivere insieme. Per questo siamo chiamati a liberarci dai pesanti fardelli della diffidenza, dei fondamentalismi e dell’odio. I credenti siano artigiani di pace nell’invocazione a Dio e nell’azione per l’uomo! E noi, come Capi religiosi, siamo tenuti a essere solidi ponti di dialogo, mediatori creativi di pace. Ci rivolgiamo anche a chi ha la responsabilità più alta nel servizio dei Popoli, ai Leader delle Nazioni, perché non si stanchino di cercare e promuovere vie di pace, guardando al di là degli interessi di parte e del momento: non rimangano inascoltati l’appello di Dio alle coscienze, il grido di pace dei poveri e le buone attese delle giovani generazioni. Qui, trent’anni fa San Giovanni Paolo II disse: «La pace è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale» (Discorso, Piazza inferiore della Basilica di San Francesco, 27 ottobre 1986: l.c., 1269). Sorelle e fratelli, assumiamo questa responsabilità, riaffermiamo oggi il nostro sì ad essere, insieme, costruttori della pace che Dio vuole e di cui l’umanità è assetata.

 

 

  

 

Visita del Santo Padre Francesco ad Assisi per la Giornata mondiale di preghiera per la Pace “Sete di Pace. Religioni e Culture in dialogo”

Preghiera Ecumenica dei Cristiani 

 

Assisi, Basilica Inferiore di San Francesco, martedì 20 Settembre 2016

 

%_tempFileName04367_20092016%

 

Dopo il pranzo comune nel Sacro Convento, il Papa ha incontrato singolarmente Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli; Sua Santità Ignatius Efrem II, Patriarca Siro-Ortodosso di Antiochia; Sua Grazia Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury e Primate della Chiesa di Inghilterra; il Prof. Zygmut Bauman, Sociologo e Filosofo (Polonia); il Prof. Din Syamsuddin, Presidente del Consiglio degli Ulema, Indonesia; il Gran Rabbino David Rosen (Israele).

Alle ore 16, i rappresentanti delle diverse religioni hanno pregato per la Pace in luoghi differenti di Assisi.
Tutti i cristiani si sono riuniti nella Basilica Inferiore di San Francesco per una preghiera Ecumenica, durante la quale sono stati nominati tutti i Paesi in guerra e per ciascuno di essi è stata accesa una candela. Nel corso della Celebrazione, il Santo Padre ha tenuto la meditazione che riportiamo di seguito:

 

Di fronte a Gesù crocifisso risuonano anche per noi le sue parole: «Ho sete» (Gv 19,28). La sete, ancor più della fame, è il bisogno estremo dell’essere umano, ma ne rappresenta anche l’estrema miseria. Contempliamo così il mistero del Dio Altissimo, divenuto, per misericordia, misero fra gli uomini.

Di che cosa ha sete il Signore? Certo di acqua, elemento essenziale per la vita. Ma soprattutto ha sete di amore, elemento non meno essenziale per vivere. Ha sete di donarci l’acqua viva del suo amore, ma anche di ricevere il nostro amore. Il profeta Geremia ha espresso il compiacimento di Dio per il nostro amore: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento» (Ger 2,2). Ma ha dato anche voce alla sofferenza divina, quando l’uomo, ingrato, ha abbandonato l’amore, quando – sembra dire anche oggi il Signore – «ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua» (Ger 2,13). È il dramma del “cuore inaridito”, dell’amore non ricambiato, un dramma che si rinnova nel Vangelo, quando alla sete di Gesù l’uomo risponde con l’aceto, che è vino andato a male. Come, profeticamente, lamentava il salmista: «Quando avevo sete mi hanno dato aceto» (Sal69,22).

“L’Amore non è amato”: secondo alcuni racconti era questa la realtà che turbava San Francesco di Assisi. Egli, per amore del Signore sofferente, non si vergognava di piangere e lamentarsi a voce alta (cfr Fonti Francescane, n. 1413). Questa stessa realtà ci deve stare a cuore contemplando il Dio crocifisso, assetato di amore. Madre Teresa di Calcutta volle che nelle cappelle di ogni sua comunità, vicino al Crocifisso, fosse scritto “Ho sete”. Estinguere la sete d’amore di Gesù sulla croce mediante il servizio ai più poveri tra i poveri è stata la sua risposta. Il Signore è infatti dissetato dal nostro amore compassionevole, è consolato quando, in nome suo, ci chiniamo sulle miserie altrui. Nel giudizio chiamerà “benedetti” quanti hanno dato da bere a chi aveva sete, quanti hanno offerto amore concreto a chi era nel bisogno: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Le parole di Gesù ci interpellano, domandano accoglienza nel cuore e risposta con la vita. Nel suo “Ho sete” possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace. Implorano pace le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi; implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa. Tutti costoro sono fratelli e sorelle del Crocifisso, piccoli del suo Regno, membra ferite e riarse della sua carne. Hanno sete. Ma a loro viene spesso dato, come a Gesù, l’aceto amaro del rifiuto. Chi li ascolta? Chi si preoccupa di rispondere loro? Essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia un canale in televisione.

Di fronte a Cristo crocifisso, «potenza e sapienza di Dio» (1 Cor 1,24), noi cristiani siamo chiamati a contemplare il mistero dell’Amore non amato e a riversare misericordia sul mondo. Sulla croce, albero di vita, il male è stato trasformato in bene; anche noi, discepoli del Crocifisso, siamo chiamati a essere “alberi di vita”, che assorbono l’inquinamento dell’indifferenza e restituiscono al mondo l’ossigeno dell’amore. Dal fianco di Cristo in croce uscì acqua, simbolo dello Spirito che dà la vita (cfr Gv 19,34); così da noi suoi fedeli esca compassione per tutti gli assetati di oggi.

Come Maria presso la croce, ci conceda il Signore di essere uniti a Lui e vicini a chi soffre. Accostandoci a quanti oggi vivono da crocifissi e attingendo la forza di amare dal Crocifisso Risorto, cresceranno ancora di più l’armonia e la comunione tra noi. «Egli infatti è la nostra pace» (Ef 2,14), Egli che è venuto ad annunciare la pace ai vicini e ai lontani (cfr Ef 2,17). Ci custodisca tutti nell’amore e ci raccolga nell’unità, nella quale siamo in cammino, perché diventiamo quello che Lui desidera: «una sola cosa» (Gv 17,21).

 

 

  

 

Visita del Santo Padre Francesco ad Assisi per la Giornata mondiale di preghiera per la Pace “Sete di Pace. Religioni e Culture in dialogo”

Arrivo e pranzo comune

 

Assisi, Sacro Convento di San Francesco, martedì 20 Settembre 2016

 

%_tempFileName03843_20092016%

 

Alle ore 10.55 di martedì 20 Settembre, il Santo Padre Francesco è partito dall’eliporto vaticano per la Visita ad Assisi per la Giornata mondiale di preghiera per la Pace nell’ambito dell’evento “Sete di Pace. Religioni e Culture in dialogo”, promosso dalla Diocesi di Assisi, dalle Famiglie Francescane e dalla Comunità di Sant’Egidio.

All’atterraggio dell’elicottero, al campo sportivo “Migaghelli” a Santa Maria degli Angeli, il Papa è stato accolto da S.E. Mons. Domenico Sorrentino, Arcivescovo-Vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, dall’On. Catiuscia Marini, Presidente della Regione Umbria, dal Dott. Raffaele Cannizzaro, Prefetto di Perugia e dalla Dott.ssa Stefania Proietti, Sindaco di Assisi.

In auto il Papa ha raggiunto il Sacro Convento di Assisi, accolto dal Custode Padre Mauro Gambetti; da Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli; da Abbas Shuman, vice Presidente di Al Azhar (Egitto); da Sua Grazia Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury; da Sua Santità Efrem II, Patriarca Siro-Ortodosso di Antiochia e dal Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni. Quindi, tutti insieme hanno raggiunto il Chiostro di Sisto IV, dove erano in attesa i Rappresentanti delle Chiese e Religioni Mondiali, e i Vescovi dell’Umbria. Il Santo Padre ha salutato singolarmente tutti i Rappresentanti.

Alle ore 13, nel refettorio del Sacro Convento, si è svolto il pranzo comune al quale hanno partecipato anche 12 rifugiati provenienti da Paesi in guerra, attualmente accolti dalla Comunità di Sant’Egidio. Nel corso dell’incontro conviviale il Dott. Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha ricordato il XXV anniversario di Patriarcato di Sua Santità Bartolomeo I.

 

 

 

 



 728 visitatori online
Articoli più visti